La legittima aspirazione a liberarsi di retaggi ingiusti e vessatori e di instaurare rispetto per tutti gli esseri umani esige l'esercizio del pensiero critico verso il passato e il presente, evitando che esso si tramuti in controllo ossessivo e censorio delle parole altrui.
di NANDO CIANCI
Secoli di oppressione, di discriminazione, di etnie trattate come “razze” inferiori e schiavizzate, di colonialismi, di dittature, di assolutismi e di religioni brandite come armi di distruzione, di sessismo e di negazioni di diritti civili hanno creato la legittima aspirazione a voltare pagina nella relazione tra uomini, popoli, culture. E a sbarazzarsi dei concetti e delle espressioni linguistiche che li esprimono. Per rispetto a chi ne è stato e ne è concretamente vittima. Non a caso la polemica più rovente contro il politicamente corretto – locuzione con la quale oggi molti vorrebbero esprimere quest’ansia liberatoria – trova generalmente casa negli ambienti più retrivi e, come si diceva una volta, reazionari.
Ma quando si gioca con le etichette collocandole or qui or là negli schieramenti politici o ideologici si rischia sempre di trasformare una spinta giusta in una rigida imbalsamazione conformistica.