Le prime tecnologie per la fusione magnetica furono progettate negli Stati Uniti. Lyman Spitze ideò lo stellarator (e fondò il Progetto Matterhorn) su preciso indirizzo del presidente Truman; lo realizzò all'università di Princeton nel 1951. In Unione Sovietica Natan Yavlinsky, dell'istituto Kurchatov, realizzò il primo tokamak nel 1958. Fu così rivoluzionaria l’idea di Spitze che alcuni anni dopo (1954) il responsabile per l’energia del governo americano si avventurò in una previsione poco ragionevole: nel giro di cinque anni gli americani avrebbero avuto tutta l’energia di cui avevano bisogno praticamente gratis. L’avvedutezza degli scienziati di allora parlava con una certa fiducia di almeno trent’anni. Questo intervallo si è ripetuto nelle previsioni periodicamente di trent’anni in trent’anni. Non ha fatto eccezione neanche dopo che dal Lawrence Livermore National Laboratory in California arrivava l'annuncio del raggiungimento dell'ignizione di fusione: per la prima volta nella storia sono riusciti a produrre circa 3 megajoule di energia, impiegando 198 fasci laser, con un’energia di ingresso inferiore a 2 megajoule, con un guadagno di circa 1.5. L'Enea coordina i 21 partner scientifici italiani presenti nel gruppo di ricerca Eurofusion, a cui aderiscono 26 stati dell'Unione europea più Svizzera, Regno Unito e Ucraina. Il consorzio, finanziato anche dalla Commissione europea anche con un finanziamento a fondo perduto, ha condotto gli esperimenti del Joint European Torus (JET) a Oxford con risultati record, migliori di quelli americani. Ultimamente in Italia il ministro del ponte di Messina, oggi sì e ieri no, si sta spendendo per diffondere la costruzione di centrali a fissione per tutto il territorio nazionale, ignorando probabilmente non solo gli impegni presi sul piano europeo e internazionale, ma anche l’esito del referendum sul nucleare del 1987. Ma con ogni probabilità gli interventi del ministro sono stati frutto di qualche suggerimento. È forse un caso che il Sole 24ore di domenica 22 ottobre 2023, anno 159, Numero 291, €2,50 in Italia, riporta in prima pagina un articolo dal titolo in neretto “Nucleare, il piano per ripartire”. Senza tergiversare gli autori annunciano subito di cosa si si tratta: “Sul tavolo del governo i dossier di Edison e Ansaldo per 15-20 minicentrali” e ancora “Investimento complessivo da 30 miliardi, dotazione completa nel 2050”. Tra parentesi: ritorna ancora l’intervallo temporale dei trent’anni. A pagina 3, sempre dello stesso giornale, l’articolista (o gli articolisti) copre l’intera pagina e si impegna nella diffusa descrizione dei vantaggi economici derivanti dalla costruzione delle circa 25 minicentrali realizzate principalmente al nord Italia e sull’impegno a regime di 160mila lavoratori(?). Il lungo articolo si chiude con la voce del padrone cioè del presidente di Confindustria: «Credo che oggi sia il caso di ripensare seriamente al nucleare, bisogna fare riflessioni geopolitiche: non facciamoci trovare impreparati di fronte alle prossime emergenze». Il 22 novembre 2023 l’edizione digitale del Corriere della Sera riporta, evidenziandolo, l’articolo “Fusione nucleare, la missione di Eni in Usa: nel 2030 l’impianto per l’energia del futuro”. Kerry, l’inviato speciale del presidente Biden per il Clima, insieme all’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, ha parlato ai giornalisti durante una visita al Commonwealth Fusion Systems (Cfs), spin-off del Massachusetts Institute of Technology a Devens, a un’ora da Boston, alla presenza dell’ambasciatrice italiana a Washington Mariangela Zappia e dell’ex ambasciatore Usa in Italia e suo caro amico David Thorne. Due miliardi di dollari da investitori privati tra cui il maggiore è Eni (accanto a Bill Gates, Google e altri) e collaborazioni con enti pubblici internazionali, Cfs è la più grande azienda al mondo per la fusione nucleare. L’amministratore delegato Bob Mumgaard ha definito Kerry e Descalzi due persone che hanno contribuito enormemente allo sviluppo di questa tecnologia. L’amministratore delegato ha elogiato Eni insieme con Bp, Total ed Equinor, come le poche società petrolifere davvero impegnate nella decarbonizzazione. Ci sono dubbi nella comunità scientifica sui tempi effettivi di passaggio alla produzione di elettricità per scopi commerciali. Ma Descalzi replica: «Non siamo noti per mettere i soldi in progetti di cui non siamo convinti». La prima centrale elettrica a fusione su scala industriale, la cui realizzazione è prevista entro i primi anni del 2030, non deve produrre eccessive fantasie; bisogna guardare sempre alla concretezza dei dati, in ogni caso i cittadini vanno sempre informati correttamente sulla fondatezza delle situazioni senza fare fuoco di sbarramento o spaventare con eccessivi dati tecnici.