Gerardo Di Cola non è nuovo a ricostruire con passione e certosina minuzia i percorsi imprenditoriali di personalità abruzzesi di rango. Lo ha fatto nel 2015 ripercorrendo la storia di Giulio Barattucci e della dinastia di distillatori cui diede origine, e torna a farlo in questo suo nuovo libro, nel quale racconta la singolare personalità e la coraggiosa intraprendenza di un irrequieto imprenditore, Vincenzo Melocchi, la cui energia progettuale e realizzativa ha lasciato profonde, incisive tracce di sé in Abruzzo, in Italia e all’estero, ma non altrettanto nell’immaginario collettivo della città di Chieti. Qui, del suo talento – lascia intendere l’Autore non senza una punta di sincero rammarico – non si colgono oggi che rade, sbiadite memorie, sebbene a quanto può dedursi dalle sue vicende biografiche e da quanto le cronache giornalistiche hanno scritto di lui, avesse collezionato apprezzamenti in più ambienti, circostanze, occorrenze per le sue intuizioni pionieristiche, capaci di promuovere e vivacizzare spazi altrimenti appartati e silenti. Non casualmente fu insignito dell’onorificenza di Commendatore della Corona d’Italia da Vittorio Emanuele III e godette dell’amicizia di quella folta schiera di intellettuali che segnarono la vita culturale abruzzese (e non solo) a cavaliere fra Otto/Novecento, quali Francesco Paolo Michetti, Gabriele D’Annunzio, Costantino Barbella, Basilio Cascella.
Verosimilmente, il motivo della disattenzione cittadina nei suoi confronti è da addebitarsi a un peccato originale del Melocchi: disporre di una personalità esuberante, creativa, antitetica all’edificio normativo di una città introversa, conservatrice, fedele custode di assetti costanti e codificati. A ciò si aggiunga un’ulteriore nota di insufficienza o di demerito: aver avuto in sorte di nascere a Pizzoferrato e non a Chieti.
Qui si trasferisce nel 1915 e dispiega il suo fare nel settore a sé più congeniale, quello alberghiero e della ristorazione. L’Albergo Restaurant Real – che si affaccia su Corso Marrucino 33 e su Via dello Zingaro 59 e dispone di numero di telefono, camere ben arredate e un ristorante di qualità – costituisce il suo biglietto d’ingresso nel capoluogo teatino. Su questo settore imprenditoriale il Nostro si era già felicemente testato in anni precedenti. Per esempio, nel 1912 a Rivisondoli, intuendo la futura vocazione turistica dell’altopiano delle Cinque Miglia a seguito della linea ferroviaria che facilitava i collegamenti dell’altopiano abruzzese con la costa adriatica e, in particolare, con la Campania e il Lazio, trasforma in albergo un elegante palazzo ottocentesco dotandolo, peraltro, di un nome pertinente a suggerirne il livello internazionale: l’Appennini’s Grand Hotel. L’operazione riesce felicemente e contribuisce a trasformare il piccolo centro appenninico in un gradevole ambiente di vacanza estiva e di stazione sciistica invernale. Frequentata soprattutto dalla nobiltà romana e napoletana (nel 1913 l’hotel di Melocchi ospita anche Vittorio Emanuele III e la sua famiglia), Rivisondoli si inscrive in breve tempo nell’elenco delle più note stazione sciistiche italiane oltre che fra quelle di più antica realizzazione. Del pari, prevedendo le potenzialità dello stabilimento climatico di Caramanico, e sebbene gestisse a Chieti l’Albergo “Reale”, l’infaticabile Commendatore inaugura nel 1917 il Grand Hotel e Ristorante Maiella nello stabilimento “La Salute”, affidandone la gestione alla competenza dei fratelli Augusto e Gaetano Menerini che godevano della sua fiducia.
In quegli stessi anni, a seguito di un evento del tutto fortuito, associa all’attività turistico-alberghiera quella di produttore cinematografico. Nel 1917 la Casa cinematografica CINES di Roma sceglie di girare il film muto in bianco e nero “Ivan il Terribile” a Rivisondoli. Melocchi ospita la troupe nel suo albergo e si impegna anche a procurare i materiali utili ad allestire le scenografie. La sua competenza e abilità operativa colpiscono il regista Enrico Guazzoni che gli offre la direzione a Roma della Società CINES. Melocchi garbatamente rifiuta. Ha già messo in cantiere l’idea di fondare una propria casa cinematografica abruzzese. Come prevedibile riesce nell’intento, e tre anni dopo, nel 1920, diventa proprietario e produttore delle Case Cinematografiche di Chieti, Teatina Film e Aprutium Film. In quello stesso anno vende l’albergo ristorante Reale e apre con Giuseppe Granchelli il Nuovo Caffè Ristorante Melocchi e Granchelli con annessi bar, pasticceria e servizio di albergo diurno, prendendo in affitto alcuni nuovi locali sotto i portici del costruendo Palazzo della Provincia.
L’ambiente elegante e raffinato si impone immediatamente all’attenzione della città per l’arredo, la qualità dei prodotti, la cura del servizio, i camerieri in livrea, il direttore di sala e, in sovrappiù, un’orchestrina che dalle 20 alle 23 allieta ogni sera la clientela. Nell’anno seguente il Caffè Ristorante Melocchi e Granchelli aggiunge un’ulteriore tessera alle sue offerte: diventa anche Caffè letterario. Ma questa attività verosimilmente non basta all’esuberante imprenditore. Nel 1921 Melocchi si sperimenta nel campo dell’editoria con il Settimanale politico, letterario, industriale “La Vita” e, contemporaneamente, fonda a Francavilla al Mare il Gran Circolo “Il Capannone del Bagnante” ideato per riunioni, intrattenimenti, convegni, serate danzanti.
Le rutilanti attività commerciali non lo inducono a trascurare il settore cinematografico. Tutt’altro: produce film che raccolgono giudizi positivi di critica e di pubblico e sbarca con il suo film/documentario “Visioni e Panorami d’Abruzzo” anche in America fidando nella benevola accoglienza delle numerose comunità abruzzesi lì presenti. Per inciso: nel percorso verso il Nuovo Mondo fa acquistare alla Compagnia di Navigazione Rubattino i suoi lavori cinematografici da proiettare durante la traversata.
Nel 1931 il Melocchi apre a Chieti un nuovo Gran Caffè, questa volta sotto i portici di Palazzo Croce che si affaccia sulla piazzetta Giovan Battista Vico e sul nuovo Palazzo dell’Economia. Come suo costume, anche in questo nuovo spazio non viene meno alla sua attitudine di curare qualità e dettagli: il comparto pasticceria, per esempio, viene affidato alla perizia di un maestro pasticcere svizzero, Andrea Werner. Ma l’operazione una volta avviata non suscita più il suo interesse. Il febbrile imprenditore ha bisogno d’altro e, infatti, nel 1937 decide di aprire a Pizzoferrato, il luogo in cui ha trascorso la sua infanzia e fanciullezza il primo albergo/pensione del paese, il “Clarentia”.
L’avventura imprenditoriale di Vincenzo Melocchi che ha conosciuto momenti di autentico successo accanto a parentesi molto difficili non finisce, ovviamente, con queste mie brevi note. Molto altro propone e su molto altro si sofferma questo denso testo di Gerardo Di Cola che opportunamente può fregiarsi anche del carattere di “libro visivo”. Un fitto corredo iconografico accompagna, infatti, le vicende del protagonista del libro. Non c’è pagina che non ospiti fotografie, vedute paesaggistiche, monumenti, arredi, réclame di prodotti, menù, cartoline pubblicitarie, fotogrammi di film, loghi di enti, lettere, disegni, manifesti, illustrazioni, marchi, attestati di premi, ritagli di testate locali allusivi alla copiosa e molteplice operosità di questo imprenditore
Tuttavia, prima di chiudere questa mia breve prefazione mi corre l’obbligo di precisare il motivo che mi ha indotto a insistere su alcune, specifiche espressioni dell’attività di Vincenzo Melocchi e non su altre. La ragione risiede nella circostanza che ritengo opportuno orientare l’attenzione del lettore sulla tessera, a mio avviso, più intrigante della sua personalità: l’incompiutezza. L’incompiutezza – va precisato – è sguardo aurorale, è curiosità conoscitiva, è reinvestimento delle proprie energie intellettive, è voglia di osservazione e di introspezione, è capacità di attivare connessioni all’apparenza improponibili, è immaginazione che fa divagare e fantasticare rendendo ogni cosa prossima, possibile, accessibile. È, ovviamente, anche rischio, ma è soprattutto un valore che fa guadagnare in consistenza, come attesta in modo inequivocabile il percorso esistenziale e professionale del commendatore. Va, dunque, tributato un sincero plauso a Gerardo Di Cola e alla sua puntigliosa lettura di questo singolare e intraprendente personaggio che non ha mai smesso di imparare, crescere, provarsi, sperimentare.