Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII - 2024
Capita che gli adulti puntino il dito contro i comportamenti dei giovani. Ma dovrebbero prima guardare a se stessi, perché le nuove generazioni sono anche il frutto del lavoro educativo (o della latitanza) delle precedenti.
di NANDO CIANCI
Ogni discorso sui giovani, da parte delle generazioni adulte, dovrebbe muovere da un duplice atto di onestà.
Da un lato occorre riconoscere che la tendenza a scorgere in quelli della propria gioventù tempi migliori degli attuali è faccenda antica. Nata, probabilmente, molto prima che Cicerone certificasse il rimpianto dei tempi andati con il celebre: «o tempora, o mores»[1]. Questa tendenza ne sottende un’altra: se migliori erano i tempi, migliori erano i giovani rispetto a quelli di oggi. Con un secondo corollario: per essere all’altezza dei tempi, i giovani dovrebbero essere come eravamo noi.
L’esistenza di bambini capaci di gesti solidali stupisce molti adulti. Segno che essi si sono rassegnati a considerare “normali” i comportamenti egoistici ed aggressivi nella quotidianità. Il paradosso della tristezza delle belle notizie.
di NANDO CIANCI
Sulla stampa regionale abruzzese prima e su quella nazionale poi è stata riportata in evidenza il gesto di solidarietà di un gruppo di bambini di Tagliacozzo (Aq) verso un loro compagno in carrozzina. Essendo andata in panne la pedana per far scendere la carrozzina, di fronte alla prospettiva di lasciare il compagno sul pullman (insieme alla mamma) e continuare da soli il giro a piedi per Roma, i bambini non hanno avuto dubbi: se non può scendere anche lui, non scenderà nessuno di noi. Stiamo insieme sul pullman e ce ne torniamo a casa.
La notizia è, come si dice, subito rimbalzata sui social, che sono oggi il palcoscenico sul quale va in scena parte rilevante dell’esistenza collettiva e, perciò, vi compare molta della vasta gamma dei caratteri umani (anche se, per alcuni aspetti, sempre più omologati dalle “regole” del web; ma questo è un discorso troppo lungo da fare qui).
Le polemiche scatenate dalle “accuse” di genitori provenienti da altri sistemi scolastici non porteranno a nulla, se non andiamo alla radice dei problemi e non ragioniamo sull’idea di scuola che vogliamo. Abbandonando luoghi comuni e superstizioni.
di NANDO CIANCI
Stupita da quel che succedeva nelle aule e da come è impostata la scuola italiana, una signora finlandese ha ritirato i figli dalla frequenza di un istituto siracusano, informandoci sulle ragioni di tale decisione con una lettera ai giornali. È seguita a ruota un altro pubblico atto d’accusa da parte di una genitrice polacca. Esigenza di esternare un disappunto accusatorio? Amore per l’Italia alla quale si vorrebbe donare consigli per “raddrizzare” la scuola? Poco importa.
Le reazioni, come sempre, sono state diverse. Ad iniziare da quelle dei difensori dell’onor patrio ferito, disposti magari ad ammettere qualche neo nella nostra scuola, ma non che ci vengano impartite lezioni dall’estero (di casa mia posso parlar male solo io).
La legittima aspirazione a liberarsi di retaggi ingiusti e vessatori e di instaurare rispetto per tutti gli esseri umani esige l'esercizio del pensiero critico verso il passato e il presente, evitando che esso si tramuti in controllo ossessivo e censorio delle parole altrui.
di NANDO CIANCI
Secoli di oppressione, di discriminazione, di etnie trattate come “razze” inferiori e schiavizzate, di colonialismi, di dittature, di assolutismi e di religioni brandite come armi di distruzione, di sessismo e di negazioni di diritti civili hanno creato la legittima aspirazione a voltare pagina nella relazione tra uomini, popoli, culture. E a sbarazzarsi dei concetti e delle espressioni linguistiche che li esprimono. Per rispetto a chi ne è stato e ne è concretamente vittima. Non a caso la polemica più rovente contro il politicamente corretto – locuzione con la quale oggi molti vorrebbero esprimere quest’ansia liberatoria – trova generalmente casa negli ambienti più retrivi e, come si diceva una volta, reazionari.
Ma quando si gioca con le etichette collocandole or qui or là negli schieramenti politici o ideologici si rischia sempre di trasformare una spinta giusta in una rigida imbalsamazione conformistica.
di NANDO CIANCI
L’immagine positiva – rispetto a quella attuale – che si ha della politica italiana dalla Liberazione alla fine della cosiddetta Prima Repubblica risente certamente della retorica che sempre gli uomini costruiscono quando si aggregano intorno ad idee che, per essere unificanti, devono necessariamente essere alte. Sì che, quando la realtà non si rivela, per così dire, all’altezza di quelle idee (come è avvenuto con il socialismo, il liberalismo e altre correnti politico-culturali) la distanza fra i due livelli viene colmata con la retorica. Quella che riveste di broccato la cruda nudezza dei fatti per conferire loro nobiltà. O di stracci per farla sembrare peggiore.
La retorica, non solo in politica, spesso annebbia la visione del passato, rendendolo più bello del presente, perpetuando quel mito di una passata età dell’oro, da rimpiangere e a cui tornare, che accompagna l’umanità sin da quando la civiltà ha mosso i primi passi.
Tuttavia, alcune delle caratteristiche dell’età politica nata dalla fine della seconda guerra mondiale, che svolgevano una funzione positiva, sono effettivamente scomparse.
Pur armandosi di una forte dose di buon senso, riesce alquanto difficoltoso spiegarsi per quale ragione una parte consistente dei frequentatori di social si ostina a disputare puntigliosamente su argomenti di cui non sa assolutamente nulla.
Una prima riposta può forse individuarsi nel fatto che, affermando con vigore, e a volte con ferocia, la propria opinione ci si vuol sentire forti e sulla cresta dell’onda. In un mondo mediatico che – proponendo modelli di ricchezza, bellezza e fama irraggiungibili – produce continue frustrazioni[1], da qualche parte bisogna pur cominciare per costruire la propria autostima. Quando non si ha di meglio, lo si fa ora identificandosi con le gioie, i dolori e le angosce di una testa coronata, ora immaginandosi di essere l’eroe di una qualche Resistenza in corso nel mondo, ora pugnando con intrepido coraggio per affermare che le cose stanno come il proprio inarrivabile io scrive sui social, con il necessario corollario che chi si oppone ad una tal verità non può che essere annoverato tra i portatori di pesante deficit cognitivo.