di Nando Cianci
C’è l’insegnante che forma con i suoi alunni un gruppo su WhatsApp, nel tentativo di far passare la relazione educativa anche attraverso la chat. E quello che rifiuta ogni contatto tecnologico extrascolastico, perché ritiene che solo la presenza fisica consenta una relazione corretta. E che, fuori dalla scuola, i contatti debbano essere limitati all’emergenza. Nel mezzo, quello che non chiude alla comunicazione docenti-alunni-genitori sui social, ma invoca regole che ne impediscano la tracimazione incontrollata.
Insomma, il problema della connessione digitale tra le diverse generazioni e le diverse figure che partecipano al processo educativo continua a sollecitare dibattiti, apprensioni e disagi.
Sempre più difficile appare la posizione di coloro che vedono la distanza tra le figure come condizione essenziale per marcare la distinzione dei ruoli ed impostare un rapporto corretto. Difficile perché lo stare sui social è diventata quasi un’altra pelle per la gran parte delle nuove generazioni (ma non solo di esse, ovviamente) . E starne fuori, non sapere cosa vi accade, preclude, almeno parzialmente, la comprensione del mondo giovanile e potrebbe lasciare più libero spazio al cyberbullismo.
Problematica si rivela anche la posizione di chi vuole introdurre regole (qualcuno dice anche nei regolamenti scolastici) per i contatti in rete degli insegnanti con i ragazzi e con i genitori: siamo in un campo per sua natura refrattario ai divieti e alle limitazioni, anche per la sua vastità e per la sua tendenza ad annullare i confini spazio-temporali. E, perciò, difficilmente controllabile.
Più facile, in tempi di populismo esuberante, l’atteggiamento dei docenti che si considerano “amici” dei propri alunni: i social favoriscono lo sbiadimento dei confini tra i ruoli.
Ma si può essere “amici” dei propri alunni? E i ragazzi hanno bisogno di insegnanti amici o di punti di riferimento, di maestri nel senso alto e nobile del termine, che nel tempo criticheranno e distruggeranno, o porteranno sempre con loro, ma che sono figure assai diverse da quelle di chi vive dal di dentro le bellezze e le inquietudini dell’adolescenza?
E, ancora, frequentandosi sui social non si corre il rischio di entrare in una sfera indebitamente confidenziale, con l’alunno che si mette a commentare anche la gita che il professore ha fatto la domenica e di cui ha dato notizia agli amici postandone le foto? O che esprime entusiasmo, più o meno sincero, più o meno “costumato”, per la foto che la professoressa ha messo come immagine del proprio profilo?
Vista così, non sembrerebbe che la relazione educativa possa trarre gran vantaggio dal frequentarsi di alunni e docenti sui social. D’altra parte, l’assenza di ogni contatto espone ai pericoli che abbiamo sopra accennato. Che fare allora? Intanto lasciare a tutti la libertà di stabilire i propri rapporti come meglio credono, senza lapidare come residuato preistorico chi pensa che sia bene astenersi dai contatti informatici e senza organizzare “ole” virtuali per l’insegnante “aperto e moderno” che vi ci si butta a capofitto. E poi, per chi vuole essere presente, l’unica è di starci da insegnante, non da amico, e quindi non consentire sui social quel che non si consente nella vita reale, non considerare facebook una zona franca in cui tutto si può dire e si può fare. In altre parole, non annullare sui social quel che si va costruendo nel lungo, e a volte duro, confronto quotidiano, che può avvenire solo guardandosi negli occhi e sentendo fisicamente la presenza dell’altro. Insomma, se ci si vuol stare, bisogna instaurare anche sui social un rapporto educativo, non di amicizia. Il che educa anche ad un loro uso più sobrio rispetto a quelli correnti.
Una tale impostazione è valida anche per i gruppi che vede riuniti nelle chat docenti ed alunni, come su WhatsApp. Anche questi possono trasformarsi in strumenti educativi, per imparare ad usare i social senza invadenza e senza considerare i docenti come maggiordomi o cameriere tenuti a fornire ad ogni quesito, anche se non presenta alcuna urgenza, risposte in tempo reale in tutto l’arco della giornata, e magari pure della nottata (h24, come diciamo quando vogliamo risparmiare le parole). Il che dipende, fondamentalmente, dall’insegnante.
Perché, comunque la si veda, la parte maggiore e fondamentale del processo educativo non può avvenire a base di clic.