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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

GINETTACCIO E IL MIGLIORE

bartaliTogliatti e Bartali: due personaggi distanti per idee e ruoli nella società. Accomunati nell'essere protagonisti di  un momento drammatico della storia d'Italia, al cui superamento entrambi hanno contribuito.

 
di ROBERTO LEOMBRONI

 

Cosa hanno in comune due importanti personalità italiane come Palmiro Togliatti e Gino Bartali? Nulla, apparentemente. Se non la condivisione di un momento particolarmente delicato e drammatico della nostra storia nazionale. Quello dell’immediato secondo dopoguerra. 
ROBERTONel luglio del 1948, settant’anni fa, il primo è il capo riconosciuto del Partito Comunista Italiano. Definito “il migliore” dai suoi compagni. Personaggio pieno di luci e ombre.
Le ombre. La sua incapacità (o non volontà o impossibilità) di sganciare il PCI dalla sudditanza nei confronti di Stalin e dell’URSS. Al punto di provocare (attraverso la delazione) la condanna a morte di alcuni comunisti italiani anti-stalinisti. La rigida disciplina imposta all’organizzazione (“meglio sbagliare nel partito che aver ragione fuori di esso”). Posizione che spiega la sua rottura con alcuni intellettuali di prestigio (a partire da Elio Vittorini). Per non parlare (otto anni dopo, nel 1956) dell’appoggio dichiarato dal PCI all’invasione sovietica dell’Ungheria. Che costerà un duro prezzo al partito, in termini di esodo di numerosi militanti.
Le luci. La guida del PCI negli anni della guerra e della Resistenza. Quando il partito diventa la forza egemone della lotta partigiana. Decisivo nel costruire l’Italia repubblicana e democratica nel dopoguerra. E Togliatti è uno dei più prestigiosi “padri costituenti”. La trasformazione del PCI in partito di massa. Nonché il suo “traghettamento” da forza “eversiva” a protagonista della lotta democratica, sindacale e parlamentare. Attraverso l’elaborazione di una “via italiana al socialismo” che porterà, negli anni successivi (soprattutto quelli della segreteria di Enrico Berlinguer), a un graduale allontanamento dai legami con l’Unione Sovietica e con i Paesi del “socialismo reale”.
Bartali è invece uno dei grandi assi del ciclismo mondiale. Fiore all’occhiello dello sport italiano. Vincitore di ben tre Giri d’Italia e di due Tour de France. Personaggio dal carattere spigoloso (“Ginettaccio”) e dalla silhouette inconfondibile. “Quel naso triste come una salita / Quegli occhi allegri da italiano in gita”. Come canterà Paolo Conte nel 1979. Capace di fare “incazzare” i francesi e di far “girare” loro “le balle” . Francesi che però, grazie a lui, “ci rispettano”. Se fosse ancora vivo, chissà, potrebbe diventare un’efficace icona del nazionalismo galoppante contro l’ “arroganza” di Macron. Comunque, nello struggente e polveroso panorama in bianco e nero delle strade di quegli anni, Bartali divide con il suo avversario Fausto Coppi, i successi del ciclismo nazionale e l’affetto degli italiani. Avversario, ma anche amico. Neanche la politica riesce a dividerli. Lui democristiano, Fausto comunista. Sono gli stessi anni di Peppone e don Camillo. Come loro accomunati da un’intransigente fede nella solidarietà umana. Quella solidarietà che aveva portato Gino, tra il 1943 e il 1944, a salvare 800 ebrei dalla deportazione. Rischiando la fucilazione. 
Ebbene. Senza volerlo, Togliatti e Bartali si ritroveranno a condividere, per motivi ben diversi, l’attenzione degli italiani TOGLIATTIall’indomani del 14 luglio del 1948. Alle 11.30 di quel giorno, il primo è fatto oggetto di un vile attentato da parte di uno studente di destra, tale Pallante, mentre esce da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti. Si salverà grazie al pronto intervento del chirurgo Pietro Valdoni. La notizia dell’attentato getta l’Italia sull’orlo della guerra civile. Sono passati pochi mesi dalle elezioni del 18 aprile. Quelle che hanno visto la sconfitta del Fronte Popolare (l’alleanza tra PCI e PSI) e la straordinaria affermazione della DC di De Gasperi. I militanti comunisti stanno appena riprendendosi dalla sconfitta. Consapevoli degli anni bui che si stanno preparando, dopo il fallimento dei sogni resistenziali. L’attacco al loro capo scatena la loro comprensibile reazione. La mobilitazione operaia nelle fabbriche del nord. Interi paesi della Toscana messi in stato d’assedio. Ex partigiani che dissotterrano le armi nascoste alla fine della guerra di liberazione. Il ministro dell’Interno, Mario Scelba, che mobilita dappertutto la Celere e le altre forze di polizia. Il tutto in un’Italia in cui la presenza fisica degli americani è ancora molto visibile. Ci sono tutti i presupposti per un bagno di sangue. Ma è lo stesso Togliatti, salvato dall’operazione, che dal suo letto d’ospedale invita alla calma il “popolo comunista”. Invitandolo a non abbandonare la strada della legalità democratica. A dargli una mano, arriverà, in quelle stesse drammatiche giornate, la notizia della vittoria di Bartali al Tour de France. Notizia che contribuirà a dirottare parte consistente dell’opinione pubblica dal dramma dell’attentato all’esultanza per la vittoria sportiva. 
A giudicare la vicenda in negativo, si potrebbe affermare che ancora una volta lo sport assolve al ruolo di novello “oppio dei popoli”. Sviando le preoccupazioni dell’ “uomo della strada” dai problemi reali. È un dato di fatto tuttavia che una feconda sinergia tra il senso di responsabilità di Togliatti e degli altri dirigenti del PCI e la vittoria di “Ginettaccio” salvarono in quei giorni drammatici l’Italia dalla guerra civile. E lo stesso PCI da un destino di estinzione simile a quello sperimentato, più o meno contemporaneamente, dai comunisti greci. I comunisti italiani, al contrario, sapranno gradualmente rialzarsi da quei momenti drammatici. Altri ne seguiranno, in tutti gli anni del “centrismo”. Ancora il movimento operaio e contadino lascerà i suoi morti sull’asfalto. A Modena, a Torremaggiore, a Melissa, a Montescaglioso, a Lentella… E ancora, agli albori degli anni ’60, nelle insurrezioni contro il governo Tambroni, a Reggio Emilia, a Palermo, a Licata… Una storia troppo spesso dimenticata. Ma ciò non impedirà agli eredi di Togliatti di mantenere ed espandere la forza politica e organizzativa di un partito destinato a restare a lungo, fino alla caduta dei “muri”, uno dei fondamentali protagonisti della storia d’Italia. Forse perché, al di là di sue persistenti ambiguità, capace di mantenere intatti i suoi legami con le masse popolari. Di cui si è sempre sforzato di interpretare le aspirazioni, senza tuttavia mai scadere in un facile populismo. Ma conservando sempre, al contrario, il proprio ruolo “pedagogico” di educazione politica e culturale delle masse stesse. Una lezione da meditare.     

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