Poco più di cinquant’anni fa, il 26 giugno 1967, moriva a Firenze don Lorenzo Milani. Una delle figure più importanti del dissenso cattolico in Italia negli anni ’50 e ’60. Il suo nome è soprattutto legato alla fondazione della scuola popolare di Barbiana, a Vicchio Mugello (nei pressi di Firenze). Una scuola che mirava al recupero dei ragazzi di umile estrazione sociale, espulsi dalla scuola “ufficiale”. Lo faceva basandosi soprattutto sul tempo pieno e sulla pratica del lavoro di gruppo.
Il ricordo che ne ho risale all’autunno del 1968. Frequentavo la quarta classe del Liceo Scientifico “F. Masci” di Chieti. Ero impegnato nel movimento studentesco della mia scuola. La mia professoressa di lettere della seconda mi prestò il celebre libro Lettera a una professoressa, edito l’anno precedente. Efficace testimonianza politico-letteraria dell’esperienza di Barbiana, esso era stato scritto a più mani dagli alunni della scuola stessa e sottoponeva a dura critica il carattere classista di una scuola dell’obbligo incapace di rimuovere l’emarginazione e le differenze sociali. Si capisce dunque l’impatto da esso esercitato sui nascenti movimenti di contestazione degli studenti e sul dissenso cattolico. Radicalizzando il messaggio del Concilio Vaticano II, esso operava un’evidente saldatura tra la coscienza cristiana e le idee della sinistra. L’opera di don Milani, di conseguenza, contribuì alla formazione di un’intera generazione che, nel ’68, sottopose a critica radicale non solo la scuola, ma anche la famiglia, l’educazione, il luogo di lavoro, la politica, le istituzioni.
Tra tutte le frasi presenti nel libro, una risulta particolarmente significativa: «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia». Molti di noi provenivano dal mondo cattolico. Ma avvertivano un profondo malessere nei confronti di una società dove la tendenza a “sortire da soli” dalle condizioni di disagio sociale era molto diffusa. Mi riferisco in particolare alla pratica della “raccomandazione” al politico di turno. Particolarmente diffusa in Abruzzo e non solo. Una pratica alla quale la Chiesa ufficiale non era affatto estranea, dal momento che il partito dominante in Italia era strettamente legato alle gerarchie ecclesiastiche.
Possiamo considerare tuttora attuale il messaggio di don Milani? Sembrerebbe di sì. Sperimentiamo, in questo inizio di millennio, un mondo (e un’Italia) in cui, di fronte al dramma di milioni di esseri umani che continuano a vivere in condizioni di intollerabile miseria e cercano scampo nel nostro mondo opulento, prevale la tendenza a girarsi dall’altra parte. E dove la disaffezione nei confronti della politica si accompagna a una crescita esponenziale dell’egoismo. Appunto il “sortirne da soli” di cui parlava il prete di Barbiana.