Questo sito utilizza i cookies per migliorare l'esperienza utente. Continuando la navigazione accetti l'utilizzo.

 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

L'OROLOGIO FUORI FASE

SPEDICATOL’idea che lo sviluppo economico e tecnologico coincida con il progresso, ha imbrigliato le coscienze. Occorre ricostruire luoghi di rappresentanza della legalità e dei bisogni dei cittadini.

A dispetto della loro inconfutabile funzione e rilevanza, alcuni temi socio-politici non godono di riguardo e di cura: spicca fra questi l’ambiente, sebbene costituisca la concretezza visibile dello spazio fisico e biologico in cui un qualsiasi organismo (uomo, animale, pianta) si trova e vive. Ossia e detto in modo più esplicito, nessuna forma di vita, esperienza, relazione, conoscenza sarebbe possibile in assenza della sua mediazione. Tuttavia, nella scala FIRMA EIDEdei macro-problemi internazionali, la tutela dell’ambiente continua a sostare in vuoti di tensione progettuale e in quadri programmatici incapaci di superare impostazioni da politica di emergenza, anche se fin dalla metà del secolo scorso non sono mancati tentativi di sensibilizzazione in tale direzione.
OROLOGIOPer limitarci al nostro paese, penso qui, per esempio, al 1957 e al Trattato di Roma in cui si discusse per la prima volta di “ambiente” in Europa; o al Club di Roma[1] che nei primi anni Settanta metteva in guardia sui rischi derivanti dallo sviluppo economico non sorretto da una consapevole regia, invitando i Governi nazionali a riformulare i rapporti tra equilibrio ambientale e regolazione politica dell’economia internazionale. Ma penso anche all’ingegnere e matematico sistemista Roberto Vacca che, nel suo Il Medioevo prossimo venturo[2], documentando l’insensata dissipazione delle risorse del pianeta, elencava i fattori che avrebbero prodotto un blocco tecnologico globale e innescato effetti catastrofici in particolare nelle realtà tecnologicamente più avanzate; oppure a Enrico Tiezzi, prestigioso chimico di fama internazionale, che nei primi anni Novanta, condannava lo scriteriato rapporto fra l’uomo e la natura, sostenendo che lo scopo della scienza è la ricerca dell’armonia fra l’attività dell’uomo e l’ambiente che lo ospita. L’orologio geologico, precisava, segue altri ritmi da quelli che la contemporaneità sta imponendo all’ambiente e quelle trasformazioni «che prima avvenivano in milioni di anni possono ora avvenire (per lo squilibrio indotto) in tempi incommensurabilmente più brevi (poche decine di anni) producendo variazioni per gli equilibri umani e sociali corrispondenti a un’accelerazione di milioni di anni di storia»[3]. In breve: un grappolo di anni è sufficiente a distruggere il patrimonio biologico di una specie che ne ha impiegato miliardi per definirsi.
Oggi la consunzione dell’habitat naturale è sotto gli occhi di tutti e non servono articolate alchimie concettuali per dimostrare che l’attuale fronte di dissesti ed eventi-soglia che stiamo vivendo è l’esito di quel pensiero radicale e manicheo dell’Occidente che continua la sua corsa al saccheggio della natura per soddisfare gli interessi dei sistemi politici ed economici dominanti. Qualcuno potrebbe obiettare che il rapporto tra l’uomo e la natura non è mai stato particolarmente fraterno e, fin dall’alba del mondo, l’uomo si è impegnato ad allestire gli strumenti congrui a vincerne i limiti. L’obiezione è corretta, ma trascura di precisare che il passato non ha mai registrato la velocità, la capacità espansiva e l’immoralità con cui al momento si sta incidendo sullo spazio ambientale. Dunque, pur presupponendo una reciproca, inevitabile contrapposizione, l’uno e l’altra hanno conosciuto tempi di maggiore rispetto e reciprocità.
Oggi non più. Non più dal giorno in cui allo “sviluppo” economico, per dirla con Franco Cassano, è stato attribuito un significato salvifico al punto da identificarlo con il progresso[4]. Ma lo sviluppo sempre più bulimico, accelerato, sfrenato è tutt’altro che progresso: sia perché avvicina la natura in modo puramente funzionalistico e strumentale, sia perché manca di un qualsivoglia orientamento etico, sia perché poggia su una lettura unilaterale dello sviluppo umano.
GLOBO ACQUAÈ questa lettura radicale e integralista, è questo racconto declinato solo al positivo dello sviluppo economico e tecnologico che ha imbrigliato le coscienze rendendole cieche e ottuse anche a fronte dei guasti cui assistiamo. L’habitat in cui viviamo è diventato sempre più fragile e vulnerabile proprio a seguito di questa mitologia. Ma i più non sembrano accorgersene, e anche quando un disastro è l’evidente prodotto di scriteriate e improvvide azioni umane si scivola invariabilmente vuoi nell’ambivalenza delle istituzioni che tendono a minimizzarne l’entità, a nasconderne le cause, a non identificare il responsabile, vuoi (salvo rare eccezioni) nell’indifferenza collettiva.
Tale atteggiamento di “irresponsabilità organizzata”[5] (come la definisce Ulrick Beck) non costituisce una rara anomalia. La storia del nostro paese, per esempio, è punteggiata di eventi calamitosi, imputabili in particolare sia al diffuso orientamento mentale che non contempla la probabilità di coinvolgimento in eventi critici, come se le grandi minacce non costituissero possibilità reali ma realtà remote o trame di film dai contenuti ansiogeni; sia all’incuria e al pressappochismo  di un sistema politico agonizzante che mostra il più assoluto disinteresse per la ri-organizzazione economica, sociale, civile, ambientale del Paese, impegnato com’è a risolvere le crisi in cui periodicamente incorre.
Riusciremo ad uscire da un tale imbroglio? In teoria sì, se si decide di prendere le distanze dai fattori inquinanti che decompongono e hanno decomposto il nostro tessuto economico, sociale, etico, educativo; se si ricostruiscono i luoghi di rappresentanza della legalità e dei bisogni dei cittadini; se ci si impegna a praticare la giustizia, la condivisione, la sicurezza, l’equità, la mutualità, l’autonomia del giudizio. Occuparsi, come finora prevalentemente avvenuto, per le convenienze proprie e/o della propria tribù non paga e non pagherà soprattutto in futuro: la casa comune che ci ospita sta segnalando senza equivoci che è d’obbligo un cambio di passo.

[1] Club di Roma è un’associazione non governativa, fondata nel 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, composta da intellettuali provenienti da ideologie, esperienze, paesi diversi, che ha per oggetto la problematica mondiale. Negli anni ha pubblicato una serie di importanti rapporti sui mutamenti socio-politici e tecnico-scientifici della modernità.
[2] R. Vacca, Il medioevo prossimo venturo. La degradazione dei grandi sistemi, Mondadori 1973.
[3] E. Tiezzi, “Tempi storici, tempi biologici”, in A tempo di universo, Dossier di “Arancia blu”, anno III, 2, 1992, p.36.
[4] F. Cassano, Modernizzare stanca, il Mulino, 2000, p.163.
[5] M. Trentini, Rischio e società, Carocci, 2006, pp.13-14.

 

Le illustrazioni di questo articolo sono di pubblico dominio.

Per inserire un commento devi effettuare il l'accesso. Clicca sulla voce di menu LOGIN per inserire le tue credenziali oppure per Registrati al sito e creare un account.

© A PASSO D'UOMO - All Rights Reserved.