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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

L'AMORE TRAVISATO

SPEDICATOLe tante declinazioni di un sentimento negli scenari dell’oggi.  Una porta troppo stretta per chi è impegnato unicamente ad accarezzare il proprio Io. Ma la capacità di amare poggia su sentimento e ragione  

                                     
                                                                                                                                                                                         Chi ama riamato, è benevolo verso  l’esistenza                                                                                                                                                                                                                   Remo Cantoni, La vita quotidiana

 

FIRMA EIDEL’esperienza soggettiva, i luoghi comuni, le semplificazioni spesso inducono in errore e, non di rado, l’indice di deformazione aumenta quando l’oggetto di valutazione è la nostra vita intima ed emotiva. Per esempio, cosa c’è di più ovvio e scontato dell’amore? Eppure a dispetto di quanto si crede, l’amore e i modi di amare scivolano frequentemente in vistosi travisamenti, e il sapere su questo sentimento appare appannato, nebuloso, segnato da stereotipi e pregiudizi, difficile da racchiudere in una definizione. Non per caso il catalogo dell’amore è ricco di pagine e interpretazioni spesso fra loro in evidente opposizione.
NARCISISMOQuesto sentimento può, infatti, rivelarsi attraverso prassi e forme targate da premura, tenerezza, gentilezza, responsabilità, equità, schiettezza, fedeltà o, all’opposto, attraverso modalità oscure, tristi, patologiche, involutive quali, per esempio, le forme di amore nevrotico, simbiotico, possessivo, esclusivo, assolutizzato. Può essere generoso, disinteressato, empatico, teso a promuovere consonanze e scambi reciproci orientati a irrobustire l’autonomia dei soggetti che coinvolge, ma parallelamente può accentuare le espressioni esaltate e settarie che ingabbiano il rapporto amoroso in comportamenti prescrittivi, repressivi, subordinati, regolamentati da asimmetrie, precetti, condizionamenti (come avveniva in passato e come, peraltro, ancora avviene in ambienti dominati dall’ordine patriarcale). In questi nostri tempi dissipativi, contraddittori e non lineari, questo stesso vocabolo viene usato pure per definire quelle prassi che si traducono in incontri discontinui, provvisori, superficiali, “liquidi” (anche le avventure di una notte hanno il nome in codice “fare l’amore”[1]); o quegli ambigui legami, soprattutto adolescenziali, che allacciano in un medesimo rapporto l’amicizia e l’amore; o quei comportamenti che, utilizzando questa parola in modo disinvolto, insufficiente e difettoso, danno luogo a cammini esistenziali anemici, opachi, infelici.
Il pensiero va qui alle numerose e possibili declinazioni dell’amore nel sempre più diversificato scenario domestico dell’oggi e, in specie, in quegli aggregati familiari dai comportamenti flessibili e rivisitabili che hanno perso il significato di legame di appartenenza e di spazio in cui si condivide un progetto di vita. Si pensi, per esempio, alle modalità attraverso cui si esprime questo sentimento nelle famiglie “a mezzo tempo” (quando con la separazione i genitori optano per l’affidamento alternato e congiunto); o in quelle weekend o “pendolari”, in cui la famiglia si ritrova per il fine-settimana o dopo lunghi periodi di lontananza a causa degli obblighi professionali di entrambi i coniugi; o nei  nuclei familiari mono-genitoriali che, frutto di eventi di portata critica, esigono forti risorse e impegnativi processi adattativi che possono dar luogo a suggestive reti di significazione o tradursi in patologici incistamenti affettivi. Ma si rifletta anche sulla declinazione di questo sentimento nelle “famiglie patchwork” che, allargando la rete familiare alla maniera di un “cespuglio genealogico” per la loro ampia estensione orizzontale anziché verticale, creano situazioni affettive verosimilmente sfumate e traballanti per coloro che la compongono: per un adulto, districarsi fra due o addirittura tre famiglie (quella del primo matrimonio, quella di un secondo innamoramento, e quella del presente); per un bambino, rapportarsi con nuove dimensioni familiari oltre i vincoli di sangue, entrare in relazione con un nuovo padre o una nuova madre che si aggiunge senza sostituirsi al genitore biologico (e, parallelamente, mantenere il legame con il genitore non convivente), dividere il proprio spazio con fratelli e sorelle nati da madri o padri diversi dal proprio, ripercorrere le tappe di allestimento di una storia comune. «Situazioni-limite, per più di un verso, ma a cui molti guardano come espressioni di nuova normalità»[2]. Ma si valutino anche le forme di amore “senza quotidianità”, ossia le relazioni affettive e familiari intrattenute oltre i confini geografici, culturali e politici che ridisegnano invariabilmente il mondo di questo sentimento[3].
Dunque, negli attuali scenari della revocabilità permanente di preferenze e legami, questo sentimento -nell’accezione di pratica quotidiana, rispetto fra entità diverse, capacità di trascendere il proprio particolare per accedere a intese comuni- pare disporre di numeri sempre più esigui di interpreti. Il perché è legato, a mio giudizio, a due principali motivi.
Il primo. Le emozioni e i sentimenti che si provano nei confronti degli altri se, per un verso, derivano dal patrimonio filogenetico di cui l’uomo dispone, per un altro verso, sono il portato dei valori, dei modelli, dei principi, delle norme con cui si viene socializzati a interagire e rapportarsi con la società e i suoi componenti. Ossia, e detto altrimenti, la fiducia, la cooperazione, la generosità, l’affetto non si insegnano da una cattedra o attraverso le interazioni virtuali ma incoraggiandoli, favorendoli, praticandoli nella quotidianità, nella concretezza dei rapporti faccia a faccia, in cui si impara a stare insieme, a rispettarsi, a interiorizzare ciò che è giusto o ingiusto, civile o incivile, corretto o scorretto.
Il secondo. Nella società attuale sempre più molecolarizzata, difensiva, diffidente, targata da individualismi rampanti ed egoisti l’amore come impegno, CHAGALLrispetto, cura dell’altro costituisce una “porta troppo stretta” da varcare per coloro che sono impegnati ad accarezzare unicamente il proprio Io, a sigillarsi in ghetti di auto-protezione, a perseguire obiettivi esclusivamente personali, a praticare rituali e sensi di marcia costantemente rivedibili. Costoro, verosimilmente esperti nelle relazioni tascabili e in quelle legate alla Rete, possono egregiamente praticare solo le espressioni spurie, intermittenti, avare di questo sentimento.
La capacità di amare è tutt’altro da tale disimpegnata e diffusa interpretazione. L’amore non è una piacevole sensazione, una pulsione istintiva gratificante, un fortunato incontro. All’opposto, per dirla con Remo Cantoni, è «un’arte che richiede […] sforzo e saggezza per essere appresa. Amare è una funzione delicata e complessa che si deve educare e promuovere per non amarsi male […]; è un’attitudine coltivata, un orientamento evoluto della personalità, una condizione umana che implica un atteggiamento etico verso la vita»[4]. Ovvero la capacità di amare poggia sul sentimento e la ragione.
Va da sé che tale raffinata e impegnativa definizione dell’amore appare assai lontana dai ruvidi, erratici, sfilacciati, disimpegnati scenari sociali dell’oggi (lo provano, per esempio, le espressioni di amore zoologico che si traducono in femminicidi). Varrebbe, tuttavia, prestarle attenzione. La ricetta per abbassare il tasso di ossigeno alle espressioni improprie di questo sentimento richiede in prima istanza precisamente l’uso del pensiero critico, che al momento non sembra costituire l’obiettivo primario e più coltivato dagli umani del XXI secolo.  Qualcuno ha detto che ad usare il cervello si impara “da piccoli”, ma anche “da grandi” non sarebbe inutile impegnarsi in tale operazione.


[1]
D. Leone, L’amore ai tempi della globalizzazione, Aracne, 2017
[2] P. Donati, Secondo Rapporto sulla famiglia in Italia, Edizioni Paoline, 1991, p.46.
[3] U. Beck nel suo L’amore a distanza. Il caos globale degli affetti, Laterza, 2012.
[4] R. Cantoni, Antropologia quotidiana, Rizzoli, 1975, p. 29.  


Nelle foto:
John William Waterhouse, Eco e Narciso (1903)
Marc Chagall, Au dessu de la ville (1918)

 

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