I cittadini che, nell’anonimato, si organizzano per il restauro di beni comuni e per il decoro dell’ambiente urbano esprimono principi controvento. E vivono il paradosso dell’essere al contempo dentro e fuori la legge.
di NANDO CIANCI
Si sono introdotti furtivamente, di notte, come scassinatori, nel cortile di una scuola romana, dove un’antica fontana giaceva in abbandono. E l’hanno restaurata.
È stata la prima azione da commando dei Gap della capitale, che non sono una nuova formazione partigiana, né i testimonial del celebre marchio americano del settore abbigliamento. Sono, invece, la testimonianza del gap che separa una certa idea dell’essere cittadini da un’altra ben più diffusa, come diremo.
La sigla sta per “Gruppi artigiani di pronto intervento”, un'organizzazione che si è data il compito di restituire all’uso, al godimento e al decoro della comunità monumenti, fontane, beni pubblici abbandonati. Saltando a pie’ pari la trafila burocratica che in Italia rende difficile impegnare gratis il proprio tempo e il proprio ingegno per la tutela dei beni pubblici.
Perché qui da noi non siamo abituati a sprecare solo il cibo (migliaia di tonnellate nella spazzatura ogni anno, ma in ciò siamo in nutrita compagnia). Sprechiamo anche la professionalità, l’entusiasmo, il disinteresse di decine di migliaia di persone in pensione che, se lo Stato sapesse utilizzarli, dedicherebbero ben volentieri un po’ del loro tempo alla comunità: nelle scuole, negli ospedali, nel verde pubblico, nelle aree dedicate al trasporto e agli altri servizi. Medici e infermieri che potrebbero far ridurre le infinite attese (mesi, anche anni) per esami strumentali nelle strutture pubbliche, docenti e presidi che potrebbero aiutare nelle attività di recupero e nella formazione dei nuovi assunti, impiegati che potrebbero far funzionare biblioteche abbandonate, giardinieri, artigiani, operai, altre figure. Un mondo di “ex” che potrebbe dare tanto, non per togliere lavoro a chi non ce l’ha, ma per coprire le attività che lo Stato non assicura più.
I Gap romani, per tornare a loro, agiscono nella clandestinità o, sarebbe meglio dire, nell’anonimato. Non risulta ancora, infatti, che vengano ricercati. Al momento sembra che siano, invece, tollerati dalle autorità (e ci mancherebbe altro).
Non corrono, ci si augura, pericoli concreti di “incriminazione”. E, proprio per questo, acquistano valore due ingredienti controvento che caratterizza la loro opera. Il primo è, per l’appunto, il voler restare anonimi. I componenti dei commando non mirano ad essere inondati di lodi e di commenti ammirati sui loro personali profili social. Né a vivere il loro quarto d’ora di celebrità sulle tv. Si gratificano, par di capire, contribuendo al decoro dei beni pubblici. Restano, come individui, nell’ombra (e speriamo che possano mantenere tale anonimato; vale a dire che non si scateni la solita caccia di cronisti mediocri per dare loro un volto e per far trionfare, ancora una volta, l’apparire sull’essere e sul fare).
Il secondo ingrediente controvento è che si tratta di persone che non si limitano a partecipare alla rancorosa rissa quotidiana degli insulti e ad aspettare le elezioni per sostenere chi grida il “vaffa” più forte. Non si abbandonano allo sport nazionale della lamentazione e all’attesa stizzosa che il comune mandi qualcuno a pulire la manciata di fango che un’automobile di passaggio ha schizzato sul loro portone di casa. Pensano, insomma, che si possa essere cittadini anche dando gratis il non dovuto e non limitandosi a chiedere.
L’insegnamento non è di poco conto, in un clima culturale dove vige il principio che “niente si fa per niente”. E in un clima politico nel quale si alimentano paure e malcontenti per poi cavalcarli (disgregando lo spirito comunitario) e si tende a prendere le decisioni più sulla base di ciò che da esse possono ricavare le fazioni in lotta o i singoli politici che sui benefici che potrebbero arrecare alla comunità. Sì che i galantuomini, che pure in politica ci sono, stentano a far sentire la loro voce.
Va notato, infine, che, tecnicamente, le azioni dei Gap sono fuorilegge. Nel senso che essi agiscono senza permessi, senza seguire le procedure previste dalle norme. Solo che essi, per paradosso, intervengono proprio a rimediare ad omissioni di legge. Dice, infatti, l’articolo 9 della Costituzione che la repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Laddove chi ne ha il compito, ai vari livelli istituzionali, non effettua tale tutela, si pone al di fuori di quello che la madre delle nostre leggi prescrive. E chi rimedia a tale omissione mira a ripristinare la legalità.
Dunque i Gap, in definitiva, vivono il paradosso di essere “fuorilegge” per difendere, di fatto, la legalità.