Seicento anni fa l'avvio della rivoluzione etica e culturale della Riforma protestante. Il ruolo della religione nello sviluppo culturale dell'Europa.
di ROBERTO LEOMBRONI
31 ottobre 1517. Sei secoli or sono. Il monaco agostiniano Martin Lutero affigge, sulla porta della chiesa della cittadina tedesca di Wittemberg, le famose 95 Tesi. Il documento che sancisce l’imminente spaccatura all’interno del mondo cristiano e l’inizio della Riforma protestante. Si tratta di una grande rivoluzione etica e culturale.
Etica. Perché alla base della ribellione luterana c’è il disgusto per la pratica delle indulgenze. Efficacemente sintetizzata dal frate predicatore Johann Tetzel: “appena una moneta gettata nella cassetta delle elemosine tintinna, un'anima se ne vola via dal Purgatorio”. Dunque quella luterana è innanzitutto una radicale rivolta contro l’ipocrita mercimonio messo in atto dalla Chiesa cattolica. Una pratica i cui fondamenti erano presenti già nell’Antico Testamento. Ma che, agli inizi del XVI secolo, assume l’aspetto di un vero e proprio business. Strettamente legato alle attività finanziarie dei banchieri tedeschi Fugger e alla costruzione della chiesa di San Pietro a Roma. Di qui il nucleo centrale della dottrina di Lutero. Riassumibile nell’espressione sola fide. La salvezza dell’anima è legata alla sola fede, vera e sincera, del cristiano. E non all’attuazione di “buone” opere. Ovviamente la polemica luterana non investe le opere in quanto tali. Anzi. La loro attuazione (come sarà poi affermato, in modo ancor più radicale, nella tradizione calvinista) costituisce piuttosto il “segno” della predestinazione alla salvezza. Non a caso, nei Paesi di fede luterana, in particolare quelli scandinavi, l’attenzione nei confronti dei poveri, degli handicappati e degli “ultimi” in genere è sempre stata e continua ad essere molto alta.
Ciò che Lutero rifiuta è invece l’idea che la salvezza dell’anima si possa conseguire “acquistandola” con opere della cui “bontà” intrinseca è lecito dubitare. Dal momento che il loro movente appare tutt’altro che disinteressato. Come l’ignobile mercato delle indulgenze sta a testimoniare. Ne consegue anche il “rigorismo” luterano (e in genere protestante), che si contrappone frontalmente al “perdonismo” cattolico. Che troverà la sua massima espressione nella “casistica” gesuitica. Una frattura che dividerà, anche nei secoli successivi, l’intransigenza nord-europea in relazione all’applicazione delle leggi e il lassismo mediterraneo. In particolare quello italiota, laddove il “perdono” assumerà sempre più l’aspetto del “condono” (edilizio, fiscale…). Anche in questo caso, come per le indulgenze, tramite il versamento di un “obolo”.
Dal punto di vista culturale, poi, non è chi non veda l’abisso che, a partire dal XVI secolo, si sta scavando tra il livello di alfabetizzazione dei Paesi investiti dalla Riforma (Germania, Svizzera, Olanda, Inghilterra…) e quelli dove essa sarà arginata dalla Controriforma (o “Riforma cattolica”). Anche in questo caso, la motivazione è strettamente legata a un altro aspetto della predicazione luterana. Quello del “sacerdozio universale”. Ovvero all’idea che il cristiano abbia il dovere di leggere e interpretare i testi sacri. Tesi fortemente osteggiata dalle gerarchie cattoliche, che pretendono di avocare a sé il diritto di “dettare la linea” in relazione alla lettura “ortodossa” dei suddetti testi. Si spiega dunque perché, a fronte della vivacità del dibattito che infiamma le piazze nord-europee, al quale partecipano a pieno titolo i ceti popolari, il sud del continente ristagna nell’analfabetismo di massa. Anche qui con pesanti conseguenze nei secoli a venire. Che non sia qui l’origine del ritardo che ancora oggi ci caratterizza nell’attitudine alla lettura rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei? E del paradosso di un Paese di “ferventi” cattolici osservanti, nessuno dei quali (o quasi) ha mai letto la Bibbia?