Sin dall’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, pesanti bombardamenti aerei cominciano ad abbattersi sulle nostre città, con il loro carico terrificante di morte e devastazione. Le prime bombe britanniche cadono su Torino, l’11 giugno del 1940, poco dopo la dichiarazione di guerra, causando 14 morti e 39 feriti. Alla fine del conflitto, il numero delle vittime delle bombe salirà a circa 70.000, con il record raggiunto da Napoli con 3.600 morti. Si tratta di bombardamenti a tappeto, che non distinguono tra obiettivi civili e militari, e terrorizzano la popolazione delle nostre città.
In tale contesto, la vita quotidiana tende a subire radicali modificazioni. Ne risulta sconvolta, innanzitutto, la dimensione del tempo, scandita ormai, quasi esclusivamente, dalle sirene degli aerei, che impongono la cessazione di ogni attività lavorativa, e dal coprifuoco (le “ore 20”), che segna l’inizio del divieto di uscita fino all’alba. Contemporaneamente, gli spazi a disposizione della popolazione si contraggono radicalmente, a causa del blocco dei trasporti, dovuto alla penuria di carburanti e alla distruzione dei binari provocata dai bombardamenti. Di qui, il crescente ricorso a carretti e biciclette nei collegamenti sia interni che esterni alle città. Al terrore dei bombardamenti si aggiunge quello indotto dalla guerra per le strade, con il suo carico di esecuzioni sommarie, rappresaglie, rastrellamenti, cadaveri ostentati sull’asfalto. I principali generi di consumo alimentare ed energetico cominciano a scarseggiare, e possono essere acquistati, in quantità ovviamente limitata, solo con la tessera annonaria, oppure, come nel caso del gas, vengono erogati saltuariamente. Ne consegue l’enorme dilatazione del mercato nero, praticato soprattutto da contadini e sfollati, e le crescenti difficoltà nell’alimentazione e nel riscaldamento in cui si dibattono i ceti popolari e impiegatizi delle città. È in tale drammatico contesto che cominciano a manifestarsi le prime forme di malcontento contro la guerra e contro il regime.
La guerra, e i bombardamenti a Roma in particolare, costituiscono lo sfondo in cui matura la storia narrata ne La ciociara, un film neorealista diretto da Vittorio De Sica e sceneggiato da Cesare Zavattini nel 1960, quando ormai la spinta propulsiva del neorealismo sembra essersi esaurita. La protagonista principale è una giovane ed energica vedova (magnificamente interpretata da Sofia Loren), che, negli anni della guerra, vive nella capitale con la figlia di tredici anni, arrangiandosi con un modesto negozio di generi alimentari a Trastevere e con la borsa nera. Al fine di sottrarsi al caos e ai bombardamenti alleati, che nell’estate del 1943 tormentano la città, e soprattutto onde evitare alla figlia tribolazioni e sofferenze, la donna affida il negozio a un vecchio amico del marito e si avvia con la ragazzina verso i monti della Ciociaria, in direzione del suo paese d’origine. Dopo l’arrivo degli alleati a Roma, convinta che l’incubo della guerra sia finito, decide di ritornare a piedi in città; ma sulla strada, durante una sosta di riposo in una chiesa diroccata, viene aggredita e stuprata con la figlia da alcuni soldati marocchini che combattono nell’esercito americano. Ispirato all’omonimo romanzo (1957) di Alberto Moravia, il film di De Sica costituisce un illustre esempio di cinematografia pacifista di inizio anni Sessanta, un periodo fecondo per la nostra cinematografia che, a pochi anni dalla fine della guerra, dopo la parentesi della rimozione degli anni Cinquanta, grazie all’impulso ad essa fornito dalla incipiente stagione politica del Centro-Sinistra, comincia di nuovo a interrogarsi sulle problematiche del fascismo e della lotta partigiana. Lungi da qualsiasi velleità ideologica, il regista racconta gli eventi esattamente come li ha vissuti, nel bianco e nero di un paesaggio ancora molto simile a quello degli anni di guerra. Qui prendono corpo le immagini più scioccanti del film: i colpi di mitraglia sparati da un aeroplano su una strada di campagna quasi deserta, fatali per un povero uomo in bicicletta che porta con sé una lattina; il balenare tra i monti dei razzi illuminanti, osservati con curiosità da ragazzini vocianti; la stralunata disperazione di una madre impazzita in seguito alla morte del figlio lattante, anche lui vittima di un bombardamento anglo-americano; e, in conclusione, la scena-madre dello stupro. Il film di De Sica sottolinea, al tempo stesso, la confusione morale di quei mesi (particolarmente evidente nell’incapacità di Cesira di comprendere fino in fondo le idee di un giovane compaesano che tenta di conquistarla all’idea di un mondo nuovo, ispirato a ideali di giustizia e libertà), i pericoli quotidiani, il sacrificio dei sentimenti e degli affetti, spesso succubi della violenza e della pavidità. Pur focalizzando il proprio interesse sulla realtà della guerra, del bombardamento di Roma, dello sfollamento, della paura dei tedeschi, dell’incerta sicurezza dei primi giorni di liberazione, La ciociara rappresenta, con grande efficacia spettacolare, il “dolore universale” che la guerra infligge nel corpo e nella psiche di milioni di individui, e condivide con il romanzo di Moravia la particolare attenzione verso il dramma dello stupro che, accanto alla fame e ai bombardamenti, costituisce una delle peggiori piaghe prodotte dalla guerra stessa, divenendone una sorta di metafora: così come la violenza sessuale lascerà un segno indelebile sulle due donne, anche dopo il loro ritorno alla vita normale, l’Italia stessa (come del resto altre nazioni) stenterà a trovare una nuova identità alla fine del conflitto.
Lo scoramento degli italiani di fronte ai bombardamenti è efficacemente messo in luce, quasi quarant’anni dopo, da una canzone, San Lorenzo, composta da Francesco De Gregori nel 1982, e inserita nell’album Titanic. Essa rievoca il drammatico bombardamento a cui è sottoposto il popolare quartiere romano di San Lorenzo, in seguito a una massiccia incursione dell’aviazione anglo-americana, il 19 luglio del 1943. Il bombardamento, ricordato anche nel romanzo La Storia (1974) di Elsa Morante, sconquassa il cimitero monumentale del Verano, distruggendo, tra le altre, la tomba del celebre attore e commediografo romano Ettore Petrolini. Con i suoi oltre settecento morti e i circa millecinquecento feriti, il bombardamento è destinato a segnare una svolta nella percezione della guerra da parte degli italiani. A visitare il quartiere semidistrutto, oltre agli abitanti delle altre borgate romane, che non si sono accorti dell’evento, e si mostrano ancora increduli, c’è il papa Pio XII, immortalato in una delle fotografie più celebri del Novecento, con le braccia spalancate, fotografia che suggerisce a De Gregori la stupenda immagine dell’ “angelo con gli occhiali”. Mussolini, dal canto suo, a pochi giorni ormai dall’imminente crollo del regime, si limita a una brevissima e fugace visita nella notte tra il 22 e il 23. Nella canzone di De Gregori, la struggente descrizione della devastazione prodotta dal bombardamento (particolarmente sconvolgente l’immagine dell’uomo che “raccoglie la sua mano”) si accompagna tuttavia alla speranza nella fine della guerra e nella ripresa di una vita normale, in cui sarà possibile soprattutto soddisfare i morsi della fame (“il burro abbonderà…”; “andremo a pranzo la domenica…”), il peggiore flagello indotto dalla guerra.
Cadevano le bombe come neve
il 19 luglio a San Lorenzo.
Sconquassato il Verano
dopo il bombardamento
tornano a galla i morti
e sono più di cento.
Cadevano le bombe a San Lorenzo
e un uomo stava a guardare la sua mano.
Viste dal Vaticano
sembravano scintille.
L’uomo raccoglie la sua mano
e i morti sono mille
E un giorno, credi, questa guerra finirà
ritornerà la pace e il burro abbonderà
e andremo a pranzo la domenica fuori porta a Cinecittà.
Oggi pietà l’è morta
ma un bel giorno rinascerà
e poi qualcuno farà qualcosa
magari si sposerà
E il Papa la mattina da San Pietro
uscì tutto da solo fra la gente
e in mezzo a San Lorenzo
spalancò le ali.
Sembrava proprio un angelo con gli occhiali
E un giorno credi...
Le foto:
La ciociara: picryl.com, identificato come di pubblico dominio.
Il Verano bombardato: non è stato possibile rintracciare fonte originaria.