Dapprima ondeggiante verso la questione ebraica, Mussolini si accodò sempre più ad Hitler, fino alla piena collaborazione per la deportazione degli ebrei italiani.
di ROBERTO LEOMBRONI
Il 27 gennaio, ricordiamo, come ogni anno, l’agghiacciante fenomeno della Shoah. Un fenomeno che ha indubbiamente a che fare con l’antisemitismo. Ma non solo. Perché nella Shoah sono stati coinvolti zingari, omosessuali, handicappati, comunisti, slavi (soprattutto prigionieri sovietici e polacchi), oppositori politici… in breve tutti coloro che la delirante ideologia nazista associava al rango di “sottouomini” o “subumani”. Milioni di innocenti (giovani, anziani, donne, bambini) pagarono con la vita la sola colpa di esistere e di “contaminare” con la loro presenza la “purezza” della razza “ariana”, accuratamente difesa da Hitler nel Mein Kampf.
È utile ricordare come l’Italia fascista abbia fornito il suo contributo all’anti-semitismo e, in maniera più o meno diretta, alla Shoah. È vero che in Italia, a differenza che in Germania e in altre realtà europee, l’anti-semitismo non ha mai attecchito in profondità tra l’opinione pubblica. Le comunità ebraiche, del resto poco numerose, risultavano complessivamente ben integrate nella società. Si aggiunga che, nonostante un generico “razzismo”, professato dal fascismo sin dalle sue origini, in particolare dall’ “ala dura” di Farinacci, varie testimonianze attestano frequenti giravolte di Mussolini sul problema ebraico. Dettate di volta in volta dalle convenienze politiche. Ciononostante, il suo abbraccio con Hitler, conseguente alla rottura con le democrazie occidentali seguita alla guerra d’Etiopia, spinse il “duce” ad adottare, nel 1938, con la compiacenza del re (pur personalmente contrario), le famigerate leggi razziali. Esse furono anticipate dalle farneticanti teorie antisemite di un ex prete, Giovanni Preziosi, direttore della rivista La vita italiana, e da un manifesto di pseudo – scienziati. Mediocri personaggi del mondo accademico, capaci di inventare di sana pianta l’esistenza di una “pura razza italiana” di origine ariana. Teoria diffusa da alcune riviste, tra le quali spiccava La difesa della razza dello pseudo-intellettuale Telesio Interlandi. Dette leggi ricalcavano pedissequamente quelle naziste di Norimberga: esclusione degli ebrei dagli uffici pubblici, limitazione nell’esercizio delle professioni, divieto dei matrimoni misti… Ovviamente, in perfetta sintonia con il mediocre spessore etico - culturale del regime fascista, i provvedimenti anti-semiti non risultarono soltanto odiosi, ma anche incoerenti. Come attestano i casi, tutt’altro che rari, di ebrei facoltosi che, sganciando cospicue “mazzette”, riuscirono a ottenere certificati di “arianizzazione” e a sottrarsi alla discriminazione. Uno di tali episodi (l’ “affare Magnini”), verificatosi nell’estate del 1942, coinvolse non solo oscuri funzionari di polizia (Magnini), ma anche alti papaveri del regime e la stessa sorella (Edvige) di Mussolini. La denuncia dello scandalo da parte del federale di Padova gli costerà la perdita del posto.
Le responsabilità fasciste crebbero dopo lo scoppio della guerra e l’avvio della politica di sterminio avviata dai nazisti nei territori occupati. Contrariamente alla leggenda diffusa a partire dal 1945, Mussolini, al pari di altri gerarchi (tra i quali Ciano), era perfettamente a conoscenza della terribile sorte riservata agli ebrei dal Terzo Reich. Lo attestano due documenti. Il primo, dell’agosto 1942, con il quale il “duce” concedeva il suo “nulla osta” alla decisione delle autorità naziste in Iugoslavia, comunicata da un funzionario dell’ambasciata tedesca a Roma, di deportare all’est, verso i campi di sterminio, gli ebrei croati, ivi compresi quelli della zona di occupazione italiana. Il secondo, dell’autunno dello stesso anno, vide il visto di Mussolini apposto sulla comunicazione dell’avvenuta strage di ebrei croati mediante l’impiego di gas tossico. Nello stesso anno 1942, quando Himmler, uno dei più potenti gerarchi del Reich, lo informò dell’avvenuta fucilazione di un elevato numero di ebrei russi, accusati di essere informatori dei partigiani, Mussolini rispose tranquillamente che si trattava dell’ “unica soluzione possibile”. Ancora più pesanti risultano le responsabilità del fascismo repubblichino di Salò. Se infatti, prima dell’8 settembre, Mussolini non aveva seguito Hitler nel farneticante progetto della “soluzione finale”, e l’Italia aveva ospitato ebrei tedeschi e austriaci in fuga dalle persecuzioni, la nascita della RSI, totalmente asservita all’occupante nazista, coincise con la sostanziale collaborazione fascista alla deportazione degli ebrei italiani nei campi di sterminio. La mattina del 1° dicembre 1943, un telegramma del ministero dell’Interno della RSI ai prefetti impartiva precise disposizioni circa la deportazione degli ebrei nei campi di concentramento. Ma già prima di tali disposizioni, la RSI aveva provveduto a perseguitare gli israeliti. A Nonantola (Modena), a Cuneo, a Firenze… si verificarono vari episodi di caccia agli ebrei. A Roma esistevano ben sei bande di fascisti dedite alla loro cattura e al sequestro dei loro beni. Il campo di concentramento di Fossoli di Carpi (Modena) fungeva da centro di smistamento degli ebrei italiani verso lo sterminio. L’episodio più tragico ebbe luogo il 16 ottobre del 1943. Nonostante il pagamento di 50 chili d’oro, richiesti dal maggiore Kappler per evitare una deportazione in massa, oltre mille ebrei romani (la più antica comunità israelitica d’Europa) furono prelevati dalle loro case e inviati ad Auschwitz. Da cui ben pochi faranno ritorno. Negli anni di Salò, verranno deportati complessivamente 8.451 ebrei italiani, dei quali soltanto 980 si salveranno.
Nessun revisionismo cialtrone potrà mai cancellare questa squallida pagina della nostra storia nazionale.