Leggiamo spesso di iniziative imprenditoriali, quasi sempre per via informatica, promosse da adolescenti ; esse stupiscono non solo per la notevole competenza sul mezzo, in tutta evidenza padroneggiato con una formazione autodidattica ed una full immersion nel mondo virtuale di cui si colgono le più recondite potenzialità; ma anche per gli inediti ambiti di applicazione che essi sembrano individuare soprattutto nella sfera dei loro desideri; tracciando così una nuova frontiera del consumo, meno filtrata dalla visione adulta. Tra le altre riporto l’impresa di Ben Pasternak, sedicenne australiano: ha fondato Flogg, una app a metà tra uno spazio di vendita ed uno di incontro, nata per aiutare gli adolescenti a vendere le cose che non vogliono più, a cercarne di desiderate a buon prezzo, a fare comunità con chi ha gli stessi gusti. Questo progetto ha raccolto due milioni di dollari e segue altre due esperienze, sviluppate a scuola. Al di là del talento. si nota in queste vicende una possibilità di scavalcare ogni mediazione delle strutture mercantili esistenti per arrivare al grande pubblico e, quando queste le intercettano, assumono soprattutto una funzione di stabilizzazione organizzativa e distributiva.
Oltre lo sconcerto ed una certa ammirazione esse mostrano quanto rapidamente ed informalmente cambi il mercato che, tuttavia, ha ancora la capacità di catturare attraverso le sue reti i pesci, salvo qualche esemplare di piccola taglia, che verrà ripreso appresso.
Diverso mi sembra il caso di un episodio del marzo scorso che ha sbalordito il mondo degli appassionati d’arte: da Christie’s si è battuta all’asta un’opera d’arte digitale per 69 milioni di dollari; si tratta di un’immagine di 21.069 x 21.069 Pixel ,un collage di 5000 singole opere realizzate (e pubblicate sui suoi profili Twitter ed Instagram) ogni giorno dall’artista dal 2007 al 2021. La quotazione ha subito una impennata finale, in una platea di 22 milioni di partecipanti (ma con 33 offerenti) e l’artista Beeple (alias Mike Winkelmann, della Carolina del Sud, nato nel 1981), ha assistito incredulo davanti allo schermo a quell’esplosione di valore. Il fenomeno tuttavia non era imprevisto, avendo avuto dei precedenti minori e l’artista risulta “sponsorizzato” dai gemelli Cameron e Tyler Winklevoss (ex soci di Mark Zuckerberg agli albori di Facebook). Si accettavano criptovalute per il pagamento e la unicità ed autenticità dell’opera (che sarebbe riproducibile, invece, in infinite copie uguali a se stesse) viene garantita grazie ad un token NFT (acronimo di non-fungible token) che rende unico e non replicabile un dato digitale, ne certifica i trasferimenti di titolarità tra soggetti e concettualmente esclude anche le mediazioni. Il possesso dell’opera e la sua fruizione saranno anch’essi digitali ed il valore si basa sul NFT e sulla fiducia (o su accordi paralleli intervenuti tra le parti) circa la non replicazione di dato e procedura. Inedite sono le implicazioni legali ma credo che una intera famiglia di istituti giuridici dovrà essere ripensato, tra diritti d’autore, proprietà intellettuale della matrice ed NTF falsi di cui si segnalano i primi casi. Il mercato dell’arte ha preso atto di questa formula (definita crypto art) e sta mobilitando i suoi esegeti: «Il vostro lavoro ha un valore. Continuate così», conferma lo specialista Noah Davis di Cristie’s.
A me questa forma, nonostante le similitudini, appare il contrario della Video art di Bill Viola , di Myron Krueger e degli altri artisti video ed informatici di fine ‘900; lì la tecnologia veniva usata per esplorare frontiere percettive, cambiare la prospettiva di fruizione, determinare forzature intenzionali del reale, dandosi esplicitamente come riproducibile, anche nella forma di grandi istallazioni che i mezzi tecnici nel tempo hanno consentito; qui la tecnologia non riguarda la costruzione del soggetto rappresentato ( anzi, è singolare constatare che la sequenza di Beeple è fatta di scontate scene pop o fantasy come se ne trovano tante in rete): la nuova frontiera riguarda la possibilità di rendere unico quello che nasce seriale.
Un bel ribaltamento della riflessione di Walter Benjamin, ad 85 anni da “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”, già messa alla prova dagli ultimi scanner 3D. Uno dei tanti cui assisteremo rispetto ai principali paradigmi del ‘900; forse per un diverso peso della sfera estetica, dei sensi, dell’affettività che, pure, tanto ha generato anche in campo economico. Mentre scrivo, però, il tentativo di costruire una Super Lega di calcio tra le squadre più ricche, sganciata a priori dal merito dimostrato nei campionati, si è infranto proprio per la protesta dei tifosi, il cui sentimento era stato il maggior combustibile per la trasformazione di quello sport nell’industria implacabile che è diventata. Forse l’idea verrà riproposta; ma certo si è visto che quel combustibile- sentimento va maneggiato con cura. Chi sa se vale anche nel campo dell’arte.
Un’altra delle barriere che traballano all’assalto dell’inedito è quella della validazione scientifica.
Man mano che la comunità dei sapienti si allarga e trova forme definite per il vaglio delle sue produzioni, la ricerca tende ad essere riconosciuta soltanto attraverso quei filtri.
Ci abbiamo messo secoli a costruire il sistema delle Università e dei Centri di Ricerca sparsi per il mondo e questo ha certo aiutato a togliere dall’arbitrio del potente la possibilità di accreditare esperti d’occasione da Cagliostro a Rasputin a Zdanov; ma sempre più esso mostra l’affanno della contraddizione tra la funzione di trasmissione e quella di elaborazione del sapere, spesso incorporato altrove, dai luoghi della produzione ai centri di formazione delle opinioni pubbliche. Tanto che sempre più spesso ricercatori indipendenti sostanziano dei loro contributi corsi e seminari. L’informatica (ed ora la pandemia) hanno reso palese il fenomeno.
Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), principale istituzione USA sulle malattie infettive, ha svolto il lavoro statistico sull’andamento del Covid 19. Ad esso sono associati i team con i risultati più brillanti. Oggi ne fa parte Youyang Gu, informatico ventisettenne dilettante che da casa ha elaborato tendenze rivelatesi più vicine al reale di quelle con accrediti accademici. Americano dall’età di 7 anni, ha coltivato le sue capacità diffondendone gli esiti su Twitter o Istagram; fino a quando i maggiori esperti di Statistica Medica e Biologia hanno suggerito di inserirlo nel gruppo di sintesi in rapporto col Governo. Non mi addentro nei tecnicismi che ignoro se non con le parole di Youyang Gu: «Tutte le proiezioni possono essere generate in meno di mezz’ora su un pc… tutto il software è Open source».
Oggi il ricercatore indipendente, dopo essersi occupato anche di stimare il numero di contagiati, è in pausa e riflette su cosa fare.
Il caso è singolare, anche se non imprevedibile; ma è ancora un caso di cooptazione da parte della comunità scientifica che, riconoscendone il valore, ha anche riaffermato la propria sfera di sintesi delle competenze. Diversi (magari potenzialmente fertili ma più spesso pericolosi) sono i casi di auto accreditamento o di promozione da parte del potere mediatico o politico. Un caso assimilabile si è verificato in Lombardia dove un esperto di Bridge e di illuminazione stradale è stato ammesso al Comitato scientifico regionale sulla base di calcoli previsionali graditi da quella Giunta ma rivelatisi poi errati.
La pandemia è un duro campo di verifica che facilmente genera , ma poi sconfessa, questi arbitri.
Diversi sono i segnali del futuro-presente tra di noi e ci chiedono una grande capacità di orientamento; per ora a vista e con uno strumentario inadeguato, in attesa di un Flavio Gioia redivivo.