La donna era anziana, vedova, viveva sola con il figlio (gli altri essendo lontani).
Grande narratrice di storie, fatti e buscìole, si tirava su il petto come a impavesarsi e attaccava. Sara volentieri ascoltava, sempre pensando che le storie aiutano a volar volando e volar volando a imparare.
La prima sera la vecchia raccontò della buonanima e dei fatti veri a lui successi:
“Eh, Angelino, mio marito, ha fatto il ‘15-’18. Sapessi quante ne ha passate...Faceva l’assalto con la baionetta in mezzo a lu foche di li nimici...Sempre a la povira ggende toccave andare avanti...Prima è stato ferito al collo, dopo è state portate a l’Angherìe...Ma Angeline queste cose no lo voleve raccondare...A l’ imbrovvise si stave zitte e non parleve cchiù.
Ariccunde tu che stai a scrive lu romanze"- dice a me all’improvviso.
-Io?!
“Scine, tu hai fatto la scuola e sai parlare”.
E qui giungono a di lei sostegno gli altri personaggi. Rosvella capatazza:
-Annarella ha ragione, perché vuoi farle fare brutta figura? Continua tu.
-Ma ormai ha cominciato lei: ora romperei l’unità stilistica del romanzo.
-Il tuo romanzo è già pieno di strafalcioni. E poi ti avviso: siamo un movimento organizzato.
-Ohibò, che fo?...Vabbè, capitolo. Annarella, continua tu un altro po’, poi racconto io.
“Dunque, stave a dire: Angeline è state ferite al collo, fatte priggioniere e portate all’Angherìe a lu cambe di congendramende.
Durmeve a li baracche, e tante ere la fame che li priggioniere si mangiave pure la jervitelle che crisceve indorne. Coma si dice? Mangeve l’erba.
Mo ‘nu ggiorne si sende ‘na voce a la palazzine di lu Capitane: -Sbrigati, sbrigati!, diceve. Poi, a l’imbrovvise, s’è viste qualcose chi scendeve da la finestre. Allore ha corse, li priggioniere, a vedere si ci steve in mezze qualcosa per mangiare: ere li bucce di patate, coma dite?, li scòrce, ecche.
Subbito s’ha frangate, li priggioniere, a raccoglie. Bum! Comingia a sparare ‘nu soldate da la finestre. Chi gli aveve date l’ordine? La mojje di lu Capitane. Sta zòcchele: esse aveve ordinate di buttare li bucce e esse ha date l’ordine di sparare.
Allore li priggioniere ha scappate arréte.
Angeline, che stave davande a li baracche, ere senza parole”.
Continui a guardare la finestra dove non c’è più nessuno, le bucce rimaste a terra, e lu sanghe, lu sanghe che qualcuno di voi ha lasciato, laggiù, là in fondo, in Paradiso. All’Inferno.
Ti lascio così, fermo, in piedi, pietrificato dal tuo stesso sguardo.
Ni li vuleve ariccundare.
Ora ti è tutto chiaro: quella donna vi aveva teso un tranello. Voleva godersi il Male.
Sta zòcchele.
E’ qui che inizia il tuo silenzio.
E’ qui che inizia il secolo.
Quanda s’è fatte vecchie, Angeline ascuddeve la radie. ‘Nu ggiorne lu giurnale radie ha dette che all’Angherìa ci ere endrate li suldate straniere.
Lungo il tuo volto scesero le lacrime.
Ora finalmente riesco a vedere ciò che c’era dentro. Una sola cosa, d’altri tempi, ho persino pudore a nominarla, la pietà.
Quella sera Sara tornò a casa piena di pensieri. Le veniva in mente Piernicola, il professore, che aveva tenuto conferenza nella Sala Parrocchiale: “Unde Malum?”, aveva detto, “Da dove viene il Male?”.
Lei lo sapeva: dallo Scampaforca! Ma contro ci sta l’Amore. E l’Amore è una forza che ti trascina, ti salva, ti porta in Paradiso.
Però...però anche il Male ti trascina…
Ecco che di nuovo le si imbrogliava la matassa. Allora cambiò pensiero. Pensò ad Alfredo. Già, Alfredo… Quella prima sera a casa non s’era visto. Non era strano che non fosse rientrato neanche per l’ora di cena?
A letto le tornò il presentimento che presto divampò in certezza femminina. Seguirono ore di un cinema che proiettava fantasmi.
La notte, si sa, sempre impaura.
(Continua)
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