E che vesti leggere, arie di erbe e rose! Tutto odorava il mondo, incantava il Gran Sasso che lontano invelava con tenui brume nell’incipiente sera.
D’un tratto un canto: Alfredo ed i compagni a piedi risalivano dal fiume.
Divampò il volto a Sara.
Che sia l’amore?, pensò, E tanto esso sconfonde?
Le due schiere approssimavano. Sebbene cantando, Alfredo la fissava.
“Mammamé!”, gridò Sara nell’azzurro io interiore, “Come trema dentro l’amore! ”.
Incrociarono. Allora d’uno scarto Alfredo le si parò davanti: “E ‘a luna rossa mme parla ‘e te, io lle domando si aspiette a me…”...
La ragazza chiuse gli occhi, divampava alle radici il mondo. “...Io lle domando si aspiette a me…”.
Riaprì: non c’era nessuno. E lontano: “Ccà nun ce sta nisciuna…”.
Ma le amiche attorno: “E brava Sara!… E non hai detto niente, eh?...Auguri!...Ti sei fatta rossa come...come una luna rossa!, e tutte a ridere.
La sera stessa accadde il fatto della cassa armonica.
Ma questo, forse, Sara stessa lo narra a Rosvella, tornata dal bruciato.
-Embè, disse Rosvella, tu ti credi che Alfredo ti si era avvicinato per amore? Quello ti ha riscarnisciata, fessacchiona, ti ha presa in giro!
-Aspetta il seguito e dammi torto...Voglio proprio vedere!
-Io non aspetto niente sennò mi si brucia il sugo un’altra volta.
-Perché non vuoi avere torto, ecco perché.
-Ti ha riscarnisciata e basta.
-Crepatazza!
Vengono ad un parapiglia, sicché devo tirarle fuori dal romanzo.
Intanto continuo io giocoforza:
Quella sera stessa, dunque, in paese era festa del Santo. Musica in piazza, lupini e zucchero filato. Nel Corso, voglia di noccioline calde.
Venne, Sara, lungo la strada che dall’arco del campanile scende alla piazza. Volle sedersi a fianco di Santina, la venditrice fioricolor di carta pura velina. Erano essi dentro scatole di cartone divisi in due gruppetti: fiori del mattutino e fiori di undinora, ossia l’ora delle campane annunciatrici di tramonto.
Sara ne comprò uno che per lei teneva malinconia del sole andante.
Nella piazza ondeggiavano le teste - e in mezzo la cassa armonica come una fiaba. Apparizione, disse Sara, apparizione.
Suonavano la Traviata. Ma quando la banda attaccò l’Aria “Di Provenza il mar, il suol”, il fremito crebbe, soprattutto in prima fila dov’erano gli intenditori. A poco a poco percosse gli altri, e la gente sui balconi, e tutt’intorno. D’improvviso angelicando, Sara vide la cassa armonica levarsi dal suolo, con il Maestro bear battendo e luci e musicanti:
“Di Provenza il mar, il suol
Chi dal cor ti cancellò?
Chi dal cor ti cancellò?
Di Provenza il mar, il suol…”
Piangendo levitava la piazza tutta e le genti ed i balconi, dove anche s’erano confusi gli Angeli - commossi per quei bravi musici suscitatori, del vasto invisibile, l’indicibile.
“Al natio fulgente sol
Qual destino ti furò?§
Qual destino ti furò?
Al natio fulgente sol…”
Ah, gli Angeli buoni! – pensò in sua lingua Sara – come si commuovono per la comunione, essi che, si sa, sono di essenza poeti e musicanti e versicantando danzano!
Però anche gli Scampaforca soffiano comunione per trascinar le genti - tra saluti manlevanti e cori - a presunzione di dominare il mondo…Come possono suonar degli Angeli la stessa tromba?
“Libiamo, libiamo ne’ lieti calici…”
La piazza salutava tra le stelle e voi, musicanti faticati dal sudore, addio addio tornate ancora.
“Che la bellezza infiora
E la fuggevol, fuggevol ora…”
-Sempre la bellezza è fuggiasca, disse Sara guardando i fiori di Santina che di fragilità avevano il cuore.
In quel mentre chiamarono Alfredo a cantare “Luna rossa”. La ragazza sentì tirarsi nel fuoco, e giammai pensando allo Scampaforca si precipitò al centro del mare tra la folla.
Come sapeva tenere il corpo, Alfredo, e portare i gesti e passione di canto e sguardo...!
E guardava lei, proprio lei!
-Ma vattene, ciandella – disse Rosvella –, sei proprio scimunita? In mezzo a tutta quella folla, guardava proprio te!
-Guardava dritto alla gente, e dritto c’ero io!
“...’a luna rossa mme parla ‘e te…”
Bruciava, Sara, come in un rogo del 7 dicembre alla Madonna. E quando Alfredo ebbe finito, la ragazza smatonì, si lanciò avanti, superò la folla, e ai piedi della cassa armonica lanciò il fiore del finir del tempo. “Per Alfredo”, disse sussurrando il cuore.
Ma nulla sapeva di quanto presago fosse il dono.
(Continua)
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