Quando una semplice paroletta congiuntiva – tipo un perché – dall’aria innocua e di corrente uso, d’acchito e di soppiatto s’infila in un discorso o, peggio, – come nel caso mio – gli si pone a monte, tutto si complica e non sempre si risolve.
Trovare la ragione delle cose non è facile; potrebbero essercene tante e, nell’immenso mare di possibilità, l’umore – elemento per eccellenza soggettivo e, per di più, volubile e volatile – finisce per avere il sopravvento ai fini della scelta e per sortire, anche, risultati affatto negativi. Datosi che le molte anime che ci portiamo dentro son sempre pronte a sconfinare nell’area di non propria appartenenza, per andare un po’ a “spassarsela” nel territorio altrui, seco recando, nonché traendo, un vicendevole beneficio.
Anche nei viaggi succede un po’ così.
Nel caso di Parigi, poi, ciò si evidenza in modalità eclatante al punto che, giunti a destinazione, ci si dimentica dei motivi che avevano mosso il viaggio, tanto essi paiono riduttivi e irrilevanti a fronte del grande fascino che sprigiona da ogni angolo della città.
Non resta, allora, che affidarsi alla malia del luogo, scegliendola qual Virgilio d’ogni sosta e visita.
E… per entrare nel clou del gioco seduttivo, fondamentale è orientare lo sguardo verso diverse prospettive, al fine di ricavarne immagini ed emozioni uniche.
Dall’alto della collina di Montmartre e più ancora dalla ferrea sommità della Torre Eiffel, la sconfinata distesa metropolitana – contravvenendo alla logica che attiene al concetto di infinito – appare come sua “materializzazione” che al sole abbacina come candida presenza. Di notte, invece, il brillio delle sue tante luci, congiunto a quello delle stelle, induce a credere che si stia vivendo sospesi tra due cieli.
Scorci insoliti e alquanto suggestivi sorprendono chi guarda dal bel mezzo della Senna, placidamente consegnato al monocorde rollio del battello, che lento scivola entro il corpo vivo della città. Scorre l’imbarcazione passando sotto artistici e regali ponti, ben 37, celebrati anche in tante musiche e canzoni nello struggente e melodioso suono dell’accordéon; mentre di tra le trine dei grandi platani, dai boulevard protesi fino a sfiorare l’acqua, fulminee immagini si svelano e si ascondono e, proprio in virtù della loro fuggevolezza, sono le più destinate a rimanere impresse nella memoria.
Ma, un mondo sotterraneo, assai diverso da quello di superficie e al pari interessante, si cela anche nelle profondità dell’urbe, dove sfreccia la metropolitana forse più antica di tutte le esistenti. La sua prima linea venne aperta sin dall’inizio del 1900 e, ad essa, tant’altre ne seguirono.
Quando per la prima volta mi recai a Parigi – circa cinquant’anni fa – quel sistema di trasporto m’impressionò molto; lo paragonai, nei suoi tanti livelli, alla “voragine” dantesca, in forza anche dell’acre odore di zolfo lì sparso per sanificare e della grande massa d’individui che vi si agitava presa da gran fretta, nonché di un’umanità derelitta, fatta di clochard che vi trovavano rifugio. A tratti capitava anche di udire il suono puro di un violino che s’innalzava sull’assordante frastuono fino a perdersi nell’oscuro intrico delle gallerie, qual segno di luce e di speranza. La struttura non era ancora mai stata restaurata, per cui la “vecchiaia” e relativi acciacchi balzavano evidenti: pochi erano gli ascensori, molte le scale ripide che scendevano entro le sue “viscere”; il ferro, materiale d’avanguardia all’epoca della realizzazione, su tutto prevaleva col forte colore grigio scuro, ma elegantemente lavorato all’ingresso delle stazioni secondo i canoni dello stile floreale Liberty dettati dall’Art Nouveau.
Eppure, quel quadro per me un po’ fosco e molto affascinante mi attraeva, al punto che ancora adesso mi pare di risentirne odori, colori e rumori. Da allora la metropolitana ha ricevuto cure e trasformazioni; e oggi non è soltanto un mezzo veloce di trasporto, ma anche un punto d’incontro. Le stazioni sono state abbellite con mosaici, sculture e arredi che fan rimando ai luoghi di fermata; artisti di vario genere la utilizzano come spazio per mostrare le loro abilità. Tutto è asettico e funzionale, merito di una tecnologia avanzata che tende a uniformare luoghi e individui, privandoli della loro tipicità.
Una volta fuori dagli “inferi”, la città si offre nei suoi tanti volti. Parlarne vien difficile, per il tanto e tutto che è stato detto a suo riguardo. Tralascerò pertanto i luoghi più famosi della sua notorietà e, anche in questo modo, so che nulla dirò di inedito, ma soltanto di molto soggettivo. In fondo, più che di Parigi, finirò col dire di me e del lungo rapporto che mi lega ad essa.
C’è stato un tempo – ormai lontano – quando mia figlia era piccola, in cui ho fatto viaggi pensati soprattutto a sua misura, nell’intento di assecondarne i fanciulleschi desideri e relative fantasie. E, dato che principi e principesse sono i soggetti ricorrenti nei racconti di fiabe destinati prevalentemente all’infanzia, mi sembrava ovvio mostrarle dal vero alcune di quelle sontuose dimore decantate in tante belle pagine.
Di conseguenza, l’Europa delle corti è diventata la nostra meta dominante e le regge francesi le preferite. Il Palazzo delle Tuileries, i castelli di Versailles e di Fontainebleau con i loro splendidi giardini hanno suggerito qualche riflessione storica e soprattutto dato libertà all’inventiva.
Conclusasi questa “favolosa” parentesi temporale, sono più volte tornata a Parigi con intenti un po’ diversi e sempre l’ho percepita come seconda patria.
Neppure la sua vasta dimensione è in grado di destare spaesamento, poiché ogni quartiere si avvale della calda familiarità, tipica dei piccoli centri. Ѐ strano poter dire questo di una città che rientra nel novero delle più grandi europee, ma qui – come forse in nessun’altra – la vita della campagna, con i suoi schietti rapporti umani, trova nobile spazio nella realtà urbana, grazie al prestigio che la cultura contadina ha sempre rivestito presso il popolo francese. Ogni rione, anzi arrondissement, oltre alle solite grandi catene di vendita alimentare, ha diversi mercati all’aperto, dove settimanalmente i diretti produttori portano le loro merci dalle zone limitrofe. In un tripudio di colori e profumi, i sapori della terra e del mare giungono nella metropoli.
Incantevole è il mercato di fiori e uccelli che si tiene in pieno centro, nel cuore dell’Île de la Cité, a ridosso della cattedrale di Notre-Dame. Piante e piccoli volatili alzano qui il loro canto di bellezza, un inno alla natura, immortalato in tanti versi dal più amato dei poeti francesi, Jacque Prévert.
Molti quartieri inoltre si tingono di una speciale atmosfera per le funzioni o attività che principalmente vi vengono svolte. C’è il luogo degli affari, quello degli artisti, dei locali famosi dove gli intellettuali – soprattutto quelli del secolo scorso – si trovavano a discutere delle loro opere e pensieri; quindi anche le aree più centrali e monumentali, riservate alla conservazione e diffusione della cultura in senso lato.
1.Continua
Le foto:
Torre Eiffel: Jean Beaufort, Public domain pictures
Metropolitana: Vincenty, Desjardin (pxhere.com), Creativecommons.com (CC PER 2.0)
Versailles: Thibaukt Chappe, Flickr.com (CC BY-NC-ND 2.0