Luoghi e genti d’Abruzzo. Cultura e tradizioni scorrendo il calendario (a cura di Maria Giulia Picchione, Antonella Lopardi, Alessandra Mancinelli), De Siena Editore, Pescara, 2017, € 25,00
Recensione di EIDE SPEDICATO IENGO
Questo volume dall’elegante veste editoriale e dal ricco corredo fotografico è un accurato reportage conoscitivo sugli aspetti storici, artistici, architettonici, filologici, gastronomici, paesaggistici di oltre cinquanta comunità abruzzesi, selezionate sulla base del calendario dei loro eventi civili e religiosi. Ma non solo. Infatti, l’attenzione che riserva agli aspetti etno-antropologici delle realtà analizzate e alle cartografie simboliche di tempo e di spazio del mondo della tradizione dà vita anche al denso inventario di un altrove. Un altrove che si sofferma e descrive contesti e ambienti culturali ora marginalizzati dal rumore e dai capricci di una società sempre più omologata, sciatta, bulimica, maleducata che favorisce il sonnambulismo etico e l’analfabetismo culturale, ora insediati da prassi individuali e collettive sempre più anestetizzate e devote della Santa Innovazione (Franco Cassano, Modernizzare stanca. Perdere tempo, guadagnare tempo, il Mulino, Bologna, 2001, p. 155) che non si fanno scrupolo di strattonare i lasciti dell’eredità del passato, proiettandoli su sfondi di incuria e, non di rado, di sfacciata manipolazione dei suoi significati.
Va da sé che la maniera più congrua per uscire dall’imbroglio di questo preoccupante scenario sociale è quella di avvicinarne con cura e attenzione la conoscenza. Ed è esattamente questa la scelta effettuata da Maria Giulia Picchione, Soprintendente belle arti e paesaggio dell’Abruzzo e dai suoi collaboratori, nel progettare questa ricerca che a ragione può definirsi con-ricerca, dal momento che nel suo allestimento sono state coinvolte le diocesi, i comuni, le pro-loco e gli abitanti delle comunità analizzate secondo la prospettiva che legge il patrimonio culturale un dispositivo di azione sociale.
Già da quanto brevemente esposto può evincersi che questo studio sulla conoscenza dei beni culturali tangibili e intangibili della regione colma un vuoto e inverte una rotta. Inverte una rotta perché, distante dai luoghi comuni e dalla devozione dei suoi chierici, invita a guardarsi dagli approcci che nello studio del territorio ossequiano la logica della colonizzazione economica producendo degrado e disgregazione culturale; e colma un vuoto perché si offre in veste di analisi, per la prima volta sistematica per l’Abruzzo, degli aspetti del territorio e di quelli etno-antropologici.
Superfluo segnalare che la scelta di avvicinare il lettore alla conoscenza del patrimonio della tradizione non allude ad alcuna celebrazione del passato, ma solo esprimere un’esigenza di equilibrio e di equità in risposta alle prassi e agli atteggiamenti di irreggimentazione in esistenze sempre più omologate ad opera dei fondamentalisti della modernità e dei potentati economici dominanti, i quali non si contentano di liquidare gli ideali, pretendono anche individui privi di memorie storiche e di sponde culturali di riferimento.
Queste pagine -che domandano sia l’allestimento di un nuovo alfabeto per la lettura del territorio, sia l’accrescimento di responsabilità nelle comunità di eredità, nelle istituzioni e nei singoli cittadini, sia interventi mirati a praticare la riflessione critica e lo spirito laico per tenere in rotta il piano della convivenza civile- sono, dunque, assai più che l’inventariazione e la lettura di alcuni tessere del patrimonio materiale e immateriale di un ambiente. Sono, piuttosto, una proposta di antropologia clinica che poggia, da un lato, sulla diagnosi di quelle prassi che hanno saccheggiato (o addirittura cancellato) interi ambienti culturali, sia consegnandoli ad automatismi anonimi e impersonali, sia stravolgendoli a fini turistici ignoranti e pacchiani; e, da un altro lato, su terapie adeguate a promuovere nuova coscienza nei confronti del patrimonio tangibile e intangibile del territorio.
L’area dei beni della tradizione -lascia intendere a ragione questo volume- va, infatti, molto al di là della sua pianta, e il ritrovamento del locale può contribuire anche a reimpostare il vocabolario dello sviluppo, purché si adotti un’alternativa “altra” alle colate di cemento (che interrompono il legame fra gli uomini, i paesaggi, le storie, le culture) e si incoraggi quella dimensione educativa che fa capo alla “metafora del giardiniere”.
Il giardiniere, come è noto, si impegna a curare l’ambiente affidato alle sue cure, dispone di un telos di riferimento che lo accompagna nel suo agire, elabora un progetto, rende vivibile lo spazio in cui opera. I giardinieri sono i più appassionati fabbricanti di utopie sostiene Zygmunt Bauman, ma lo sono anche delle progettazioni e dell’azione in prospettiva di lungo periodo. In questo Luoghi e genti d’Abruzzo non c’è, ovviamente, alcun cenno ad utopie. Le sue pagine sono tutte mondane, solide, certificate ma sollecitano anche a riflettere sul senso delle cose, sulle scelte, sulle azioni, esattamente come il giardiniere che si prende a cuore il compito di rendere migliore lo spazio in cui vive.