Adesso che le grancasse mediatiche hanno smesso di suonare attorno all’episodio della fuga di 7 ragazzi dall’Istituto Penale per Minorenni “Beccaria” di Milano sarebbe opportuno soffermarsi sul fatto che, in una grande civiltà come la nostra, la risposta all’errore della persona svantaggiata debba essere la punizione, sia essa un castigo o addirittura il carcere minorile. Ho seguito le vicende dai telegiornali e nessuno che abbia posto la domanda fondamentale: ma perché sono scappati? E di conseguenza: a cosa serve un carcere minorile, cosa si fa lì dentro, come avviene il recupero?Ci aiuta in questa nostra riflessione l’articolo 27 della Costituzione Italiana che dice: ”La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Chi vi scrive ha vissuto 35 anni a contatto con adolescenti di un carcere minorile e in questi giorni ho ancora davanti le voci, i nomi, i visi di tanti ragazzi che dicono che la vita è magmatica e instabile, che non sempre è così ovvio fare la scelta giusta, che l’amicizia è importante ma a volte gli amici sono quelli sbagliati e che tra un ragazzo che sbaglia e uno che non sbaglia la differenza dovrebbe riguardare la giustizia e non il cuore degli adulti che sono chiamati ad amare, senza condizione, ogni loro figlio.
La prima sensazione che ho avuto quando ho varcato il portone dell’Istituto Penale è che il muro di cinta non serve a contenere chi sta dentro (per quello vi sono cancelli, inferriate, telecamere, porte blindate e altro) ma a nascondere tutto ciò che si fa, o non si fa, dentro ad una struttura che dovrebbe “tendere alla rieducazione”. Il muro nasconde al mondo quella triste ma vera realtà di minori o giovani adulti che lo abitano, una realtà scomoda e pesante perché ci interroga sulle nostre responsabilità civili e sociali.
Dal libro “Dentro” di Sandro Bonvissuto: il muro è il più spaventoso strumento di violenza esistente. Non si è mai evoluto, perché è nato già perfetto ……Nonostante le apparenze, il muro non è fatto per agire sul tuo corpo; se non lo tocchi tu, lui non ti tocca. È concepito per agire sulla coscienza. Perché il muro non è una cosa che fa male, è un’idea che fa male …… e costruire un muro è fare una cosa contro.
In un Istituto Penale per Minori non vi sono ragazzi con disabilità fisiche ma è pur vero che il disagio che pervade questi ragazzi ha raggiunto tali picchi da portarli in carcere; si parla di disturbi e di disabilità psichiche che non sono, evidentemente, meno importanti di quelle fisiche. Non tutto ciò che si vede è reale, l’essenziale a volte è davvero invisibile agli occhi della gente e abita dentro di noi. Forse manca il sano esercizio di ascoltarsi e imparare a guardarsi dentro.
Se tutti noi siamo gli incontri che facciamo, e di tutto quello che ci è stato fatto, ecco che la scelta del personale che si occupa di questi ragazzi dovrebbe avere elevate competenze metodologiche e di gestione dei gruppi, essere in grado di individuare i momenti sui quali insistere e i momenti da lasciare decantare quando le tensioni della ristrettezza creano una barriera alla formazione.
Il mistero di come si apprende non ci è dato sapere, metodi che prima funzionavano adesso non portano frutti, ragazzi impegnati a settembre sono svogliati a gennaio, di tante cose che funzionano non conosciamo la regola. Ma di una cosa sono certo: se in questi ragazzi, apparentemente senza speranza e che vedono nel futuro solo una minaccia, noi riuscissimo ad accendere il desiderio alla vita, se sapessimo trovare gli stimoli giusti che innescano curiosità e riflessioni allora il compito di chi ha la responsabilità della loro crescita diventa più facile e molti semi della conoscenza potranno trovare terreno fertile dove germogliare.
Gli adulti che interagiscono con loro dovrebbero essere sufficientemente significativi per essere delle figure di orientamento, àncore con le quali fermarsi e ripartire. Ci si preoccupa giustamente della “fuga dei cervelli” che riguarda comunque una percentuale esigua della nostra popolazione; sarebbe più opportuno che la classe politica si accorga della rilevanza di questo altro problema.
Non occuparsi con personale altamente qualificato di un numero incredibile di NEET (ragazzi non ancora in età lavorativa ma senza istruzione né formazione) e DROPOUT significa garantirsi per il futuro costi sociali, sanitari, di polizia e giudiziari, incalcolabili. Investire adesso in un piano che tenga conto delle migliori risorse e che punti al recupero delle competenze di base per tutti quei soggetti rientranti nella fascia di età giovanile significa investire in un proficuo futuro lontano da logiche e da protagonisti del passato.
Quando gli eventi oscurano la ragione e si crea un vuoto di cultura, questo vuoto sarà sempre riempito con modelli sbagliati.