Abbiamo constatato che durante un lockdown le differenze sociali, economiche, culturali si ampliano sempre più. Nascere in quartieri poveri e regioni periferiche vuol dire subire queste carenze più di altri.
Ma c’è una categoria che più di tutte è affossata dal tempo del coronavirus.
È la categoria delle persone che deve rimanere rinchiusa in spazi angusti, in promiscuità e con persone che nemmeno conosce. E quando anche gli spazi fossero adeguati, come in un Istituto Penale Minorile, la condizione di ristretto va a scontrarsi su quanto è deciso dai decreti dello Stato. Chissà perché le decisioni del Presidente del Consiglio non possono trovare attuazione all’interno di un carcere.
È vero, stiamo parlando di persone che stanno ai confini della società, ma pure loro fanno parte della comunità anche se le loro voci giungono a noi flebili ed attutite dalla indifferenza della buona società.
Vien da pensare come il muro di un carcere non sia costruito per contenere in sicurezza le persone che si sono macchiate di reati (non bastano cancellate, porte blindate, congegni comandati a distanza che aprono e chiudono gli spazi?) ma sia lì per nascondere agli occhi della civiltà le persone più svantaggiate e di cui non si vuole o non si sa mettere in condizione di poter ripensare al recupero in modo intelligente.
Ho vissuto tanti anni come insegnante a contatto con minori ristretti, ho sperimentato come l’interazione sociale con l’esterno sia un’arma efficace per far conoscere che un altro modo di vivere è possibile, come un’attività gestita da persone competenti possa lasciare un segno, un seme, che potrà sbocciare in futuro. Penso a come possa funzionare una didattica, anche a distanza, quando proprio le relazioni con l’esterno sono da sempre proibite in un carcere.
La “visita parenti” spesso è un’occasione unica per coltivare quella affettività che tante volte è dimenticata dal sistema penitenziario e che in tempi di pandemia è stata subito sospesa. Rimanere chiusi nei propri spazi familiari in carcere suona davvero in modo sinistro e ironico!
«Siamo gli incontri che facciamo» recita un vecchio adagio e se anche le attività professionali e scolastiche vengono sospese quali incontri restano a questi ragazzi?Le uniche persone esterne al sistema carcerario che incontrano i ristretti sono i titolari delle attività, attività che sono l’unica ragione che possa soddisfare il principio dell’articolo 27 della Costituzione che recita: «(…) le pene devono tendere alla rieducazione del condannato» Ma quando tutto viene sospeso rimane solo il contatto con il personale di sicurezza che ha altri compiti da svolgere.
Sento dire che dopo la pandemia il mondo non potrà più essere lo stesso; allo stesso modo voglio pensare che il modo di scontare una pena possa superare il carcere e trovare una adeguata via di recupero e di rieducazione.