Gli oggetti parlano, anche se a livello collettivo tale consapevolezza è poco diffusa. Sono espressione di mode, competenze, impianti valoriali, stili di vita, posizioni di status, orientamenti di senso. Nel tempo, alcuni scivolano nell’oblio e tacciono per sempre; altri sopravvivono, pur se in ambienti distratti e indifferenti alla loro voce e altri, invece, godono di cura anche se in spazi riservati e discreti (quelli del collezionismo, per esempio). Il ventaglio è fra questi, vuoi perché ha accompagnato la storia millenaria dell’uomo[1], vuoi perché dispone di un ricchissimo e articolato alfabeto comunicativo.
Se lo si sollecita a parlare, questo fragile siparietto può guidare nella conoscenza di dense, stimolanti pagine di storia sociale, economica, culturale. Basterebbe riflettere sulle competenze necessarie alla sua realizzazione: sulla maestria dei ventaglisti e degli incisori che si impegnavano a decorarne l’elemento di base (la pagina) e sulla perizia degli artigiani che ne curavano la montatura attraverso la costruzione del rivetto, dell’archetto, dell’occhiello, delle guardie[2] e, in particolare, delle stecche che – traforate, intagliate, dipinte, intarsiate, spesso impreziosite con metalli nobili ridotti in lamine sottilissime – richiedevano mani abilissime a cesellare, applicare, decorare[3]. Anche i materiali usati per le sue pagine (carta di riso, pergamena, carta incisa o dipinta, pelle, seta ricamata, merletto, piume) e per la sua struttura (avorio, osso, tartaruga, corno, madreperla, filigrana, metalli preziosi, legni pregiati e, poi, bachelite e celluloide) ragguagliano su stili, mode, relazioni commerciali, produzioni industriali[4].
Il ventaglio, dunque, non va letto esclusivamente in veste di effimero accessorio della moda e della vanità femminili[5]. È ovviamente anche questo, ma è soprattutto molto altro. Se, per esempio, si presta attenzione all’orditura compositiva, al repertorio decorativo, ai virtuosismi tecnici, alla forma delle sue pagine[6], delle sue stecche, delle sue nappe, il ventaglio si trasforma in un segmento conoscitivo capace di alzare il sipario su ambienti lussuosi, spazi quotidiani, perimetri d’uso, posizioni di status e, non da ultimo, anche sull’impiego originale delle scoperte della scienza. Al proposito va rammentato che nel Settecento, non a caso definito «il secolo del ventaglio e del compasso», ovvero della galanteria e dello spirito scientifico[7] vennero prodotti esemplari dotati di lenti da vista abilmente occultate nella montatura per chi presentava qualche défaillance visiva, le cosiddette lorgnette. Nel 1782 durante un galà nel teatro del castello di Versailles, un ventaglio di questo tipo, peraltro tempestato di diamanti, venne offerto in dono dalla regina Maria Antonietta alla granduchessa Nathalie de Hesse-Darmsthad che soffriva di una leggera miopia[8].
Per sfogliare con cura il denso sistema segnico di questi fragili oggetti andrebbe, dunque, infranta la superficie di ciò che è immediatamente visibile e accordare attenzione, oltre che agli esemplari altolocati, anche ai loro consanguinei più modesti, meno costosi, senza livrea. Per esempio, ai ventagli-autografi, vicari degli album, dei biglietti, dei carnet, delle lettere d’amore; a quelli cotillon; a quelli Grand Tour (o souvenir) che miniaturizzavano i monumenti rendendoli bambini; a quelli celebrativi che giocavano con le categorie del perenne o a quelli patriottici che si trasformavano in suggeritori di sentimenti nazionali (come, per esempio, i ventagli che nel secondo decennio del XX secolo celebravano i successi coloniali dell’Italia); ai ventagli sottodimensionati (i ventaglietti) che facevano parte del corredo delle bambine per iniziarle all’assunzione dei ruoli adulti; a quelli home-made dalla pagina grezza che le riviste di moda femminile invitavano a decorare attraverso dettagliate istruzioni. A questa sollecitazione, che raccolse ampi consensi dalle signore e signorine borghesi, risposero anche alcuni nomi dell’aristocrazia europea come la principessa Luise, figlia della regina Vittoria o la principessa Matilde Letizia Guglielmina Bonaparte, cugina di Napoleone III[9].
Queste tipologie di ventagli, com’è intuibile, non mostrano particolari invenzioni figurali: non alludono ai momenti grazia di quelle fragili quinte che intrecciavano dialoghi con il vanitoso maquillage del cielo, con paffuti cupidi levitanti, con dame e gentiluomini, garzoni e villanelle; non si aprono all’affollato pantheon della mitologia classica, dell’epica omerica, della latinità, delle solennità veterotestamentarie, dei cicli cavallereschi. Lontanissimi anche dai ventagli ammiccanti e mondani di lievissimo pizzo; da quelli di piume, soffici come nuvole; da quelli luminosi, fitti di volute e ghirigori di tulle e di paillettes; da quelli di raso opalescenti come vetri, simili ad angoli di voliera o a teche di naturalisti, aggiungono, tuttavia, ulteriori tessere conoscitive al corpus semantico di un oggetto che ha accompagnato per secoli la vita di generazioni. Immancabilmente presente nelle feste di fidanzamento, nella celebrazione dei matrimoni[10], nel rito del battesimo, accompagnava anche la mestizia del lutto [11].
Quanto accennato documenta che il ventaglio è un oggetto versatile e poliglotta che sa dialogare con ambienti diversi e indossare abiti cangianti a seconda dei contesti e delle circostanze. Non casualmente, negli ultimi decenni dell’Ottocento, ha vestito anche i panni del divulgatore pubblicitario. Reclamizzando compagnie di navigazione, catene di alberghi, agenzie di investigazione, aziende, grandi magazzini, ristoranti, eventi sportivi, profumi, spezierie, medicinali, prodotti della moda, il ventaglio testimoniava l’avvento di un mondo nuovo, in movimento, che accompagnava l’ingresso di gusti e mentalità alternativi a quelli del passato. In questo suo nuovo ruolo indossava abiti più modesti: legno, carta, cartone, celluloide ne costituivano la struttura e la pagina con il decoro litografato era prodotta a macchina, ma la sua forma era spesso bizzarra e divertente: girandole apribili, petali che si richiudevano su sé stessi, sagome di bicchieri o di bottiglie a ricordare la merce reclamizzata[12]. Il ventaglio pubblicitario diede vita ad aziende specializzate nella sua produzione e, sull’onda del suo successo, alcune fabbriche di ventagli tradizionali ne produssero di propri di grandissimo pregio come la Maison Duvelleroy, la più celebre casa parigina di ventagli di lusso[13]. Il mercato non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione così ghiotta.
Il ventaglio, qualsiasi ventaglio, sa quindi richiamare in vita non solo espressioni di maestria artigianale, oreficeria[14], arte, letteratura[15]; sa anche avvicinare pagine di storia economica e sociale, come si diceva ad inizio di questa nota.
Ma c’è di più: nella sua veste di vocabolo figurato compendia panorami di sensibilità e morfologie comportamentali oggi inimmaginabili. Si pensi, ad esempio, alla sua funzione di dialogo a distanza attraverso allusioni, sottintesi, sentimenti amorosi, schermaglie galanti. I movimenti del ventaglio, obbedienti ad un’articolata grammatica gestuale, sapevano trasformarsi in vocaboli espliciti quanto silenti. La gestualità rituale legata a questo scopo disponeva di «una sua sintassi ben precisa, tale da consentire ad una donna di far ben comprendere all’uomo che le interessava, e solo a lui, espressioni del suo animo che probabilmente non avrebbe, o non avrebbe voluto mai esternare a parole. E certo tanti sono stati gli uomini di volta in volta gratificati, delusi o anche soltanto rinviati ad un’altra occasione da un gesto ben preciso del ventaglio mosso dalle mani sapienti di una donna»[16].
Il movimento del ventaglio poteva comunicare incoraggiamenti, promesse, dinieghi attraverso «una quantità infinita di agitazioni: moto indispettito, moto modesto, moto confuso, moto piacevole, moto amoroso. […]. Ho veduto qualche volta il ventaglio così incollerito che sarebbe stato per il servente o per l’amante pericoloso di trovarsi a portata del vento che lo agitava. Altre volte lo vidi sì languido, sì attraente, che assai mi dispiaceva che allora l’amante si trovasse da lei lontano. È quasi inutile di aggiungere che il ventaglio è qualche volta giudizioso, qualche volta bisbetico secondo il naturale di chi lo porta», annotava Giovan Battista Albrizzi nel 1786 nel suo Lettera sopra l’esercizio del ventaglio[17].
Sul linguaggio del ventaglio si intrattenevano sia le riviste di moda, sia le cartoline illustrate che “insegnavano”, appunto, i gesti della seduzione e i significati di quella silenziosa corrispondenza affidata alla grammatica degli sguardi e delle mani. Così «uno sguardo intenso appena scoperto dal margine superiore del ventaglio aperto, rassicurava il destinatario circa l’assenza di terzi indiscreti, invitandolo quindi a non indugiare oltre; per contro, due mani accavallate delle quali una reggeva mollemente un ventaglio semichiuso stavano a significare che c’era poco da sperare in una risposta positiva. Un ventaglio aperto, tenuto basso ed agitato in piano, rinviava all’indomani l’incontro, mentre un ventaglio semichiuso battuto nervosamente sul palmo di una mano era una chiara dimostrazione dell’attesa ansiosa di uno scritto. E se il mordicchiare il margine superiore del ventaglio aperto indicava un esplicito “vi amo”, il ventaglio chiuso, deposto in bell’ordine, era una dichiarazione di resa incondizionata. Da ultimo, la rottura violenta del ventaglio stava ad indicare la fine completa del rapporto»[18]. In aggiunta ai sentimenti e agli umori femminili, dal movimento del ventaglio poteva dedursi anche lo status sociale di chi lo maneggiava. In una vivace e ironica apologia di questo oggetto Madame De Staël così si esprimeva: «Ci sono molte maniere di servirsi di questo prezioso gingillo; un suo movimento fa distinguere la principessa dalla contessa, la marchesa dalla popolana»[19].
Molto altro, ovviamente, si potrebbe aggiungere intorno a questo vocabolo figurato che, come già accennato, gode attualmente di perimetri di cura molto appartati e solo occasionalmente (attraverso rare mostre) si offre al pubblico. C’è tuttavia un’occasione che si ripete annualmente, fin dal 7 luglio 1893, in cui torna a godere delle luci della ribalta: si tratta della consegna di un ventaglio decorato, da parte dell’Associazione stampa parlamentare, al presidente della Repubblica e ai presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Quale l’origine di questa cerimonia?
A quanto si deduce dalle cronache del tempo, in quel 7 luglio di fine Ottocento, nell’aula Comotto in cui si svolgeva l’ultima assemblea parlamentare prima della pausa estiva, il caldo era opprimente e l’atmosfera pesantissima tranne che nell’area della tribuna-stampa nella quale i giornalisti disponevano di ventagli. Il disagio dell’ambiente, verosimilmente accentuato anche delle lungaggini degli interventi dei deputati, indusse l’accaldato presidente dell’assemblea, Giuseppe Zanardelli, a sottolineare scherzosamente (e forse non senza una punta d’invidia) che nella tribuna-stampa si coglieva una vistosa agitazione di ventagli. In risposta a tale osservazione, i giornalisti offrirono al Presidente un modesto ventaglio di carta sul quale ciascuno aveva apposto la propria firma: era nata la Cerimonia del ventaglio. Quanti ne conoscono l’origine? Verosimilmente pochi. Questo è uno dei numerosi motivi per i quali al ventaglio, un oggetto che ha ancora molto da raccontare, si dovrebbe tuttora prestare orecchio.
[1] L’origine del ventaglio si perde nella notte dei tempi ed è legata verosimilmente a scopi pratici: rinfrescarsi, scacciare gli insetti dal volto, animare il fuoco. Il gesto di muovere l’aria, prima di ricoprire la funzione di accessorio dell’abbigliamento femminile e maschile, rispondeva a ruoli cerimoniali, religiosi, rituali e sottolineava condizioni di prestigio e di potere.
[2] Sono le parti che costituiscono la montatura del ventaglio.
[3] Il riferimento qui è ai battiloro, artigiani specializzati a ridurre l’oro, l’argento e altri materiali duttili allo spessore di un decimillesimo di millimetro per ogni foglia. G. Gobbi Sica, C. Kraft Bernabei, “Il ventaglio pieghevole nel XVIII secolo” in Ventagli italiani. Moda, costume, arte, Marsilio Editori, 1990, p.19.
[4] La celluloide, materia plastica, dura, flessibile, inventata dai fratelli statunitensi Hyatt nel 1871, venne impiegata (al pari della bachelite inventata nei primi anni del Novecento dal chimico belga Hendrick Baekeland) anche nella confezione delle pagine di ventagli.
[5] Per inciso: i ventagli erano accessori anche maschili. Usati per alleggerire la calura estiva e per bloccare la polvere e il vento freddo d’inverno o moderare in casa il calore del camino, servivano anche a coprire il volto quando in strada non si desiderava incontrare qualcuno». Cfr. G. Cerretani, “Messaggi dai ventagli” in I. Spedicato Murino (a cura di), Incontro con il ventaglio. Storia, simboli e linguaggio di un vocabolo di conoscenza, Tinari Editore, 2005, p.37.
[6] Le forme dei ventagli possono essere diverse: quelli rigidi e a intelaiatura fissa sono i più antichi; quelli pieghevoli, sulla cui montatura è fissata la pagina che si può aprire e chiudere, sono originari dell’Oriente e presentano svariate tipologie.
[7] G. Gobbi Sica, C. Kraft Bernabei, op. cit., p.19.
[8] G. Cerretani, op. cit., pp.36-37.
[9] I. Spedicato Murino, “Vissi d’arte. Il ventaglio nel tempo”, in Incontro con il ventaglio, op. cit., p.13.
[10] Spesso veniva offerto come «dono nuziale alla futura sposa, ornato dei simboli della fedeltà come le colombe, o dell’attaccamento come l’edera». Cfr. G. Gobbi Sica, C. Kraft Bernabei, “Il linguaggio del ventaglio” in Ventagli italiani, op. cit., p.53.
[11] La produzione di questa tipologia di ventagli si ridusse (fino a interrompersi) dopo il primo conflitto mondiale. Il numero impressionante di caduti indusse a modificare anche lo stile di abbigliamento e gli accessori da indossare per piangere i propri cari. F. Sternke, “Mournigs fans”, in G. Cerretani (a cura di), Il vento e la memoria, Fotocard Group, 2008.
[12] G. Cerretani, “Un po’ di storia” in Il vento e la memoria, op. cit. p.39.
[13] I. Spedicato, “Breve storia di un amico straordinario” in V. Accardo, I. Spedicato (a cura di), Diamoci delle arie. Ventagli dal 1880 al 1920, Vecchio Faggio Editore, 1995, pp.22-23.
[14] Carl Fabergé, per esempio, creò splendidi, preziosissimi ventagli che eguagliarono per pregio le sue famose uova.
[15] Basterebbe riflettere sull’elenco di scrittori e commediografi che hanno eletto il ventaglio a protagonista dei propri testi.
[16] M. Murino, “Noterella semiseria a margine di una esposizione di ventagli”, in Diamoci delle arie, op. cit., p.29.
[17] G. Gobbi Sica, C. Kraft Bernabei, op. cit., p.55.
[18] M. Murino, op. cit., p.29.
[19] S. Blondel, Histoire des éventails chez tous les peuples et à toutes les époques, Paris, 1875 in G. Gobbi Sica, C. Kraft Bernabei, op. cit., p.52.