Aa.Vv., Venti anni (a cura di Andrea Giampietro), Voci e Scrittura Editrice, Sulmona, 2023
Nel tempo del presentismo, dei legami fragili, delle aggregazioni instabili, delle appartenenze disancorate da mete e obiettivi condivisi, non è consueto imbattersi in associazioni culturali che possono vantare percorsi di consolidata attività. L’inusitata circostanza richiede un seppur breve commento.La capacità di associarsi (e durare nel tempo) non costituisce operazione agevole e diffusa nell’attualità, ossia nel tempo della flessibilità culturale e sociale che relativizza pratiche di identità e continuità istituzionali. Tale attitudine deve, infatti, poter contare su strategie solide, vuoi per contrastare la filosofia della modernità liquida che addestra a leggere la realtà in modo labile, provvisorio, temporaneo; vuoi per opporsi alla struttura “molecolarizzata” dei legami sociali che non sanno promuovere intese e appartenenze stabili. Anche se può sembrare un paradosso, la prima difficoltà in cui si imbattono oggi le realtà aggregative è precisamente la capacità di “associarsi”, ovvero di riconoscersi in un “Io” collettivo, qualificato da patti, azioni e interessi comuni in prospettiva di lungo periodo. Sebbene descrivano una galassia ampia, variegata e complessa non poche realtà associative soffrono, infatti e vistosamente, di frammentazione, anemia, fragilità, ossia di quella diffusa patologia dell’oggi -l’autoreferenzialità- che, recintando in capanne mentali anguste, svigorite, scontrose, renitenti a collegamenti, scambi, confronti, alza muri su obiettivi collettivi e condivisi.
A ciò si aggiunga che una qualsivoglia associazione per crescere e consolidarsi nel tempo deve disporre di un grappolo di precisi requisiti. Deve, per esempio, saper creare legami di fiducia, definire la propria cornice operativa e strutturale, procedere per accomodamenti progressivi, appoggiarsi a spazi temporali lenti e ordinati (antitetici a quelli bulimici e dispotici dell’odierno tempo-freccia che corre solo in avanti), adottare una gestione capace di produrre coinvolgimenti orizzontali, “democratici” che non lascino alcuno ai margini, praticando l’ascolto e, all’occorrenza, rallentando il passo per evitare che qualcuno resti indietro. Deve, parallelamente, aprirsi all’esterno e all’ambiente che la ospita: deve, insomma, disporre di strategie comunicative trasparenti, convincenti e solidali che stimolino connessioni, coinvolgimento, partecipazione concreta attraverso l’attivazione di modalità congiuntive e reciproche fra i propri componenti e la realtà in cui opera. In breve: per crescere e consolidarsi deve disporre di competenze gestionali, organizzative e progettuali.
Bene: questi requisiti hanno accompagnato fin dal suo nascere l’Associazione culturale Voci e Scrittura, promossa da Maria Luisa De Matteis, allora direttrice dell’Agenzia Promozione Culturale di Sulmona e i Quaderni Peligni (curati da Vittorio Monaco e Concettina Falcone e successivamente da Emanuela Ceccaroni e Marco Del Prete) pensati per certificare l’attività culturale svolta dai soci del sodalizio. Non per caso l’una e gli altri hanno festeggiato il 13 marzo 2023 vent’anni di solida e ininterrotta attività. Il che non è certo un risultato di poco conto nell’epoca dei cocci in cui è rovinosamente scivolata la nostra società.
Verosimilmente il motivo di tale “longevità” è legato a un grappolo di fattori “favorevoli”, tali perché pensati e programmati. Forse perché Voci e Scrittura fa cultura in modo laico, libero, fuori da conventicole asfittiche, strette, campanilistiche. Forse perché sa praticare il lavoro di squadra. Forse perché dispone di solidi legami relazionali e può contare vuoi su iscritti e collaboratori fedeli, assidui, tenaci, vuoi su nuovi soci. Forse perché ha fatto sua la logica della curiosità intellettuale verso diversi campi del sapere, indagati attraverso i vocabolari ora della filosofia e della storia, ora della scienza e della letteratura, ora della demologia e dell’antropologia. Forse perché i suoi Quaderni (che ne fissano la voce sulla carta stampata) hanno tenuto fede nel tempo a una specifica coerenza progettuale e programmatica e dato vita a un archivio di letture, composizioni (in lingua e in dialetto), ricerche, saggi, raccordabili in una cornice eclettica, aperta, pertinente a sollecitare riguardo al corredo patrimoniale del proprio ambiente e a riflettere sulla contemporaneità, aprendosi anche a quelle discipline e a quelle letture della realtà che si impegnano a commentarla nelle sue turbolenze e metamorfosi sociali.
Dunque, è all’interno di questo quadro propositivo a maglia larga che vocabolari e approcci metodologici diversi si trasformano in strumenti di ricerca e approfondimento sia della non esemplificabile, labirintica realtà del presente, sia delle storie e della Storia del proprio territorio avvicinate non in modo stantio, ma rilette e reinterpretate in chiave critica.
Del resto, basta scorrere i sommari dei Quaderni Peligni per imbattersi in filoni di ricerca mai superflui e in temi che orientano alla comunicazione costruttiva. Penso qui, per esempio, al Quaderno che ha restituito suoni e voci al mistero e all’immaginario fantastico di cui è ricca la tradizione popolare abruzzese; oppure a quello sulla mobilità delle genti d’Abruzzo (l’emigrazione) che offre un catalogo convincente e appassionato di quadri esperienziali e vissuti individuali e collettivi; o a quello sul “Novecento”, il secolo degli estremi (e, pertanto, difficile da racchiudere in una formula a motivo della cornice poliedrica che concorre a definirlo) in cui più che su grandi accadimenti si indugia su quegli aspetti di storia minore che invitano a rivolgere lo sguardo su quotidianità impropriamente coperte d’ombra. Ma penso anche al Quaderno che ha per tema la “violenza” o, più correttamente, le violenze, ossia quelle forme distorte di potere che violano le norme non scritte della convivenza civile, fanno scomparire la comunità, mettono il bavaglio alla civiltà; a quello su La Festa, dedicato a Vittorio Monaco, alla cui guida paziente, sapiente e raffinata si deve la struttura del sodalizio; o a quello su Il viaggio, che contiene un ventaglio di riflessioni, sensazioni, emozioni, esperienze, letture di sé e della società presente e passata articolate e plurisignificanti. Ma penso pure al Quaderno su La felicità che documenta il significato caleidoscopico e sfuggente di questa corrente emozionale, raccontata ora come un lampo, un intermezzo, una pausa in cui ci si può imbattere per caso (quasi fosse un regalo della vita), ora, per contrappunto, come un obiettivo che si può raggiungere se ci si impegna a superare quelle contraddizioni che rendono la vita stupidamente difficile; o a quello su Madre Terra, che dà vita a un variegato cosmo di interpretazioni, sensazioni, sensibilità, sentimenti legati alla Natura, al suo significato e alla sua tutela.
La struttura propositiva netta e lineare di Voci e Scrittura trova un’ulteriore conferma nella veste tipografica dei suoi Quaderni, ossequiente a un preciso, riconoscibile stile e, in particolare, nelle sue suggestive copertine, per così dire “parlanti”, ossia capaci di introdurre graficamente all’argomento di cui si discute.
Si potrebbe, ovviamente, dar conto su altro di questa associazione (e dei suoi Quaderni) ma i brevi cenni proposti sulla sua attività spero documenti, in modo evidente, la sua appartenenza al filone di quell’autorevole tradizione culturale che in Abruzzo ha registrato la nascita di proposte associative ed editoriali animate dal proposito di valorizzare la “cultura” e i tanti rivoli in cui si esprime, senza aspirare, per dirla con Franco Cassano «a guadagnare la strada principale, la Main Street, dove ci si può far vedere» (Modernizzare stanca, il Mulino, 201, p.71). Insomma, tale sodalizio ha dimostrato, con costante e garbata discrezione, di saper dialogare da anni sia con il mondo screziato dell’oggi, sia con quelle dimore empiriche e metafisiche della propria eredità culturale che danno significato all’esistenza.