«Il tempo è bello: quindi si dovrebbe finalmente partire. All’una, mentre finiamo di mangiare (ero ospite da due giorni in casa Cantelmi) delle formazioni aeree inglesi bombardano Sulmona; subito dopo usciamo…».
Con queste parole comincia il racconto della traversata della Maiella che Carlo A. Ciampi fece il 24 marzo del 1944. Ore drammatiche e difficili racchiuse in un diario che donò agli studenti del Liceo Scientifico Statale E. Fermi di Sulmona, la scuola dove, sul finire degli anni ’90, per iniziativa di un gruppo di docenti era stata condotta una ricerca storica sui prigionieri di guerra e sul campo di concentramento di Fonte d’Amore. A stimolare la ricerca era stato un inglese, J. Keith Killby, un ex prigioniero, fondatore del Monte S. Martino Trust, anche la proposta del Freedom Trail venne dalle associazioni di ex-prigioneri inglesi che proposero di realizzare una marcia che partendo da Sulmona ripercorresse la via di fuga degli ex-prigionieri del Campo 78 di Fonte d’Amore. Nel 2001 ci fu la prima edizione, nel 2003 fu fondata l’Associazione Il Sentiero della Libertà che da allora in poi ha organizzato la marcia e ha lavorato nel campo della ricerca storica pubblicando numerosi libri. Un’esperienza, quella del Sentiero della Libertà, segnata fin dalla nascita da relazioni “umane” che si sono intrecciate positivamente: dal presidente Ciampi allo storico inglese Roger Absalom alle centinaia di studenti, docenti e appassionati di storia che hanno partecipato alla marcia. L’anno scorso, il 2020, ci si preparava a festeggiare il ventennale ma il Covid ha bloccato tutto. La marcia è stata annullata e anche per questo 2021 sarà impossibile rivedere quel serpentone colorato di giovani e meno giovani che sale verso Guado di Coccia. Un grande dolore per tutti noi che però all’idea, ai valori, alla carica umana del Sentiero non vogliamo rinunciare.
Quando s’inizia a salire la montagna lasciandosi Sulmona alle spalle, quando si comincia a sentire la fatica della marcia, tornano in mente le storie di donne e uomini che, in questi luoghi, misero a rischio la propria vita e in qualche occasione la persero per aiutare chi cercava la libertà: prigionieri dell’esercito alleato in fuga dai campi di concentramento, militari italiani che, come il sottotenente Ciampi, volevano raggiungere il fronte fermo sul Sangro e successivamente Bari per continuare a combattere con l’esercito italiano ormai alleato con quello anglo-americano, e i tanti antifascisti che in Abruzzo trovarono rifugio dopo l’8 settembre del 1943. Tra loro non si può non ricordare la scrittrice Alba de Cespedes, che trascorse un periodo nascosta in una stalla nei pressi di Torricella Peligna: «Qui, in questa stalla remota, a 1000 metri, mi sembra che stia davvero nascendo l’Italia che abbiamo voluto. Mi batte il cuore a questa improvvisa scoperta. Qui, proprio qui, in questa stalla, logori, affamati, senza più nulla, nulla che assomiglia alla vita civile, ricominciamo a vivere civilmente. Il russo parla del suo paese, i polacchi della loro letteratura, l’ebrea non ha più quegli occhi di sgomento con i quali fissa l’alto della collina per vedere se da lì calino i tedeschi. Seguitano a parlare. Mi piacciono le loro voci, l’incerto italiano, le discussioni aperte. Dolce cara patria mia».
All’ombra della Maiella Alba de Cespedes trovò non solo un rifugio fisico ma la speranza, anzi la certezza che era possibile far nascere un’altra Italia, un altro mondo. Per quella rinascita allora si impegnarono in tanti: donne e uomini ancora oggi poco conosciuti. C’era, tra quelle montagne, un’energia umana positiva. Dai proprietari della stalla che ospitò De Cespedes ai protagonisti della Resistenza umanitaria che con l’Associazione Il Sentiero della Libertà abbiamo raccontato in questi anni: Roberto Cicerone e Mario Scocco che a Sulmona coordinavano l’aiuto ai prigionieri in fuga; Iride Imperoli, la staffetta che teneva i rapporti con chi a Roma guidava l’organizzazione di sostegno ai fuggitivi; Maria di Marzio, la contadina di Campo di Giove, che rischiò la fucilazione per nascondere un gruppetto di fuggiaschi; Michele Del Greco, il pastore di Anversa ucciso dai tedeschi per aver aiutato una cinquantina di ex prigionieri in fuga e tanti altri che ora sarebbe lungo elencare. Quando nel 2001 il presidente Ciampi volle partecipare alla partenza della prima marcia, a Sulmona, a quelli che si accingevano a partire ricordò lo stretto legame tra Resistenza umanitaria e Resistenza armata, sottolineando quanto accadde in Abruzzo, nell’inverno tra il 1943 e il 1944: «Fu questo il terreno su cui nacque spontaneamente, come scelta di popolo, la Resistenza: scelta istintiva, che divenne consapevolezza, che si organizzò fino ad assumere struttura militare. Vi è una continuità spirituale e materiale fra l'assistenza data da gente di ogni classe sociale a coloro che cercavano rifugio in queste città, in questi paesi, in queste montagne, e la costituzione della gloriosa Brigata "Maiella", che percorse, combattendo, da Sud a Nord, il suo sentiero di gloria: da queste terre, da questi monti fino all'Emilia, a Bologna, dove i suoi uomini entrarono per primi, il giorno della Liberazione di quella città. E ancora si spinsero più a Nord fino ai confini della Patria, segno spontaneo vissuto di quella che è la nostra grande forza: l’unità d’Italia».
Nel saggio La guerra della memoria (Laterza, Bari 2005) lo storico Filippo Focardi ricorda quel discorso come un momento importante di un’azione di “patriottismo costituzionale” fondato sul recupero e la condivisione della memoria della Resistenza, vista come atto di nascita della Repubblica.
Attraversare la Maiella sul Sentiero della Libertà è un atto di memoria attiva, di conoscenza storica attraverso la fatica del cammino in montagna, memori di quel suggerimento dato da Pietro Calamandrei agli studenti milanesi nel 1955 quando li invitò ad andare “in pellegrinaggio” in montagna per ritrovare i valori di coloro che avevano dato la vita perché “libertà e giustizia” potessero essere scritte sulla carta costituzionale. E vale la pena di andare e tornare di nuovo, perché c’è sempre qualcosa da scoprire. È quanto mi hanno insegnato i ragazzi di Cuneo che hanno partecipato più volte alla marcia, negli anni di liceo e dell’università, perché ogni anno volevano conoscere meglio le storie della Resistenza, sapere di più del passato per costruire il loro presente. Al gruppo hanno dato il nome “Sulmona again and again”. Forse è quello che gli inglesi chiamavano “lo spirito di Sulmona” che spinse tanti di loro a tornare dopo la guerra, come racconta John Verney nel suo libro Un pranzo di erbe (a cura dell’Associazione culturale “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail”, Qualevita, Torre dei Nolfi 2014): «Sono venuto per riprendermi qualcosa. L’interesse per la vita, si potrebbe dire, o il gusto per le cose essenziali, come il pane».