Maria Rosa Cutrufelli. Il giudice delle donne, Frassinelli, Milano, pp. 251, € 18,00
“Dunque giovedì, come stabilito, sono andate tutt’ e dieci in municipio e, nel corso della stessa mattinata, hanno presentato la domanda d’iscrizione alle liste elettorali”.
Dieci donne, dieci maestre. Siamo nelle Marche agli inizi del ‘900 e, nell’Italia di allora, di suffragio universale si parlava solo riferendosi agli uomini. Non la pensavano così Maria Montessori e tante altre, tra loro anche Luigia, insegnante a Montemarciano. E’ lei che guida il gruppetto delle dieci maestre in un’impresa che inizialmente suscita sconcerto e viene dileggiata sui giornali del tempo dove si parla di maestrine e di voto alle sottane. Una storia vera e dimenticata quella che ci racconta Maria Rosa Cutrufelli nel suo romanzo “Il giudice delle donne”. Non è una novità per la scrittrice, narratrice appassionata che si è ispirata a vicende vere anche in altri libri come nel bellissimo “La donna che visse per un sogno” dedicato a Olympe de Gouges, la celebre autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”. Questa volta Cutrufelli riporta alla luce una battaglia poco nota e molto importante del movimento suffragista italiano. Un antecedente fondamentale per capire anche il dopo, tutto quello che è accaduto negli anni a seguire fino ai nostri giorni. C’è una genealogia ancora da ricostruire, ci sono riconoscimenti da rendere espliciti alle madri della Repubblica e di diritti che oggi sembrano scontati. Affascinante la struttura narrativa che affida il racconto a tre voci: Alessandra, la giovanissima maestra alla sua prima supplenza che diventa la principale alleata di Luigia; Teresa, la ragazzina che ha perso la voce per un trauma infantile provocato dalla morte della madre per un aborto clandestino; Adelmo, il fratello giornalista di un’amica di Alessandra. A lui la scrittrice affida la ricostruzione dell’atteggiamento della stampa inizialmente sarcastica poi sorpresa e interessata a capire il parere favorevole arrivato dal presidente della Corte di Appello di Ancona, Ludovico Mortara. Personalmente contrario al suffragio femminile, Mortara al cronista che gli chiede ragioni di una sentenza inaspettata per i più spiega che “il voto può essere considerato un diritto di libertà, cioè uno di quei diritti soggettivi( libertà di pensiero, di espressione, di coscienza e via dicendo) che lo statuto albertino garantisce a tutti i cittadini, uomini o donne che siano. Salvo le eccezioni previste dalla legge. Previste e menzionate espressamente”. Il titolo del romanzo vuol essere un omaggio all’uomo di diritto che sarà epurato dal Fascismo ma prima, nel 1919 come ministro di giustizia, legherà al suo nome anche l’abrogazione dell’istituto dell’autorizzazione maritale che impediva alle donne sposate di comparire in giudizio o di amministrare il proprio patrimonio senza l’autorizzazione del consorte. “Il tempo dei miracoli” per le maestre marchigiane finirà a Roma con l’annullamento della Corte di Cassazione e l’appuntamento con il voto alle donne sarà rinviato di quaranta anni. Resta la lezione di quelle donne coraggiose che hanno fatto l’Italia considerando l’educazione una vera missione. A loro, alle maestre, al loro impegno civile e culturale dobbiamo molto.