Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio?, di Marco Gui, il Mulino, Bologna, 2019, pp. 248, € 14,00. Recensione.
Il dibattito sull’uso del digitale nella didattica si svolge su diversi piani. Uno, il più inutile, è quello del chiacchiericcio polemico tra gli entusiasti dell’innovazione e i depressi che vedono nelle nuove tecnologie un attacco alle fondamenta del sapere. I primi si accendono di piacere al solo sentire la parola “innovazione”, spesso rimandando sine die il momento in cui approfondire cosa, come e perché si innova. E se qualche ragione non vi sia anche nel conservare. I secondi concepiscono la tecnologia come un apparato diabolico intervenuto a turbare la normale esistenza umana. Ma c'è un altro e più alto livello di discussione e di indagine, che affronta il nuovo con animo aperto senza dimenticare il patrimonio culturale che l’umanità ha già accumulato e che non necessariamente deve porsi in conflitto con l’avvento delle nuove tecnologie.
Nel dibattito più alto, e più utile, si inscrive questo nuovo lavoro di Marco Gui, che affronta la questione dell’introduzione e dell’uso del digitale a scuola in una prospettiva spesso sfugge a tanti fautori dell’innovazione: l’uso del digitale nella didattica non può essere affrontato tout court sotto il versante tecnico. Occorre una riflessione sul mezzo, sui suoi rischi e sulle sue possibilità. Occorre, per questa via, educare ad un uso consapevole di media[1].
Per svolgere questa analisi, l’autore spazia attraverso aspetti fondanti della questione e vicende molto concrete, in una felice sintesi che stimola la riflessione restando, come si dice, con i piedi per terra. Ci conduce, così, attraverso il clima culturale nel quale il tema si inserisce, le politiche e gli investimenti che attorno ad esso ruotano, gli effetti, veri e presunti, sull’apprendimento. Oltre che, come già detto, le sfide, i limiti, i rischi. Con un salutare invito finale a percorrere, anche riguardo all’uso delle nuove tecnologie nella didattica, la strada maestra della ricerca, lungo la quale sbiadiranno le opposte certezze dei tecno-entusiasti e dei tecnofobici.
Il risvolto: Alle tecnologie digitali si è guardato come a una delle leve principali per il miglioramento della scuola. È proprio così? Alcune delle più importanti aspettative, come quella di incrementare i livelli di apprendimento degli studenti, non hanno trovato finora un riscontro negli studi scientifici internazionali; per altre manca un’adeguata valutazione. Discutendo i limiti cognitivi e sociali del digitale a scuola in un contesto di connessione permanente, l’autore sviluppa una visione alternativa del ruolo del digitale nell’esperienza educativa: prima ancora che fare didattica con le tecnologie è urgente educare all’uso consapevole dei media.
L’incipit: Raramente si rimane indifferenti quando viene evocato il binomio «digitale» e «scuola». Più spesso, ogni discussione sul digitale – ormai usato come aggettivo sostantivato – provoca negli educatori risposte emotivamente cariche, quasi delle prese di posizione o delle scelte di campo.
A prima vista, le sfide che il processo di digitalizzazione pone al mondo dell’educazione sono analoghe a quelle poste ad altri settori dell’economia e della società, ad esempio le aziende o le amministrazioni pubbliche. In tutti questi campi è in corso un dibattito sul processo di digitalizzazione, anche se esso raramente raggiunge il calore emotivo di quello relativo all’educazione. Effettivamente, la scuola è l’ambito dove la digitalizzazione ha, da un lato, generato resistenze più forti e, dall’altro, indotto più entusiasmi e atteggiamenti di corsa in avanti. Le ragioni di questa «animosità» stanno soprattutto nel fatto che la digitalizzazione nei processi educativi non sembra porre in questione solo delle opzioni tecniche ma soprattutto delle visioni contrapposte dell’educazione, della natura dell’essere umano in formazione e addirittura del profilo futuro delle nostre società.
Da un lato, infatti, la digitalizzazione – spesso abbinata al concetto di «innovazione» – è vista come una grande opportunità sociale, capace di generare aspettative anche utopiche. Nello specifico dell’istruzione, queso potenziale immaginativo prefigura l’opportunità tanto attesa di cambiare ciò che non funziona nella scuola, di fornire una risposta più efficace alle sfide educative di giovani che vivono in un mondo in grande trasformazione.
Dall’altro lato, però, la digitalizzazione porta con sé una modalità inedita di organizzazione dei contenuti e delle relazioni comunicative che è in forte attrito con la logica tradizionale della scuola: con i suoi modelli didattici, ma anche con una certa idea dell’educazione e della riproduzione sociale.
L’autore: Marco Gui è professore associato presso l’Università di Milano-Bicocca, dove insegna Sociologia della cultura e dei media. Per il Mulino ha pubblicato A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita (2014).
[1] Cfr., a questo proposito, anche N. Cianci, Viandanti e naviganti. Educare alla lentezza al tempo di Internet, 2015.