Tradotto e studiato in tutto il mondo, l’opera di Antonio Gramsci in Italia ha subito destini alterni, con momenti di grande interesse e periodi di oblio. Per tornare forse a parlare, oggi, a nuove generazioni che ne intuiscono la ricchezza e l’attualità. Di questa parabola ci dà conto l’intenso lavoro di Benedetti e Coccoli, che le edizioni L’Asino d’oro hanno appena portato in libreria. La grande mole degli scritti gramsciani viene accostata e narrata avendo come fulcro le riflessioni sulla scuola. L’idea che Gramsci ne ha viene ricostruita con un lavoro non facile, come sottolinea Marco Revelli nella Prefazione, trattandosi di analizzare una produzione molto ampia e non sistematica. Anche se un sistema, che si evolve negli anni, in essa può essere rintracciato in quanto, ci ricordano gli autori sulla scorta di Eugenio Garin, «nei Quaderni manca la “forma sistemica, non la coerenza intima”». Prima di addentrarsi nel discorso sulla scuola, ed anche mentre esso viene svolto, gli autori ricostruiscono perciò l’impalcatura del pensiero gramsciano. Vengono così analizzati il rapporto tra teoria e prassi, intellettuali e popolo, senso comune e buon senso, filosofia e folclore, egemonia e dominio e altri temi caratteristici della riflessione e dell’azione del pensatore, del giornalista, del dirigente politico.
Nel percorso di avvicinamento all’idea gramsciana di scuola si parte da almeno tre punti fermi. Il primo: non si dà riflessione sulla scuola senza una riflessione sull’essere umano. Sì che le idee di educazione e istruzione, aspetti inscindibili del processo di formazione, sono in rapporto con la concezione che si ha dell’uomo e di come egli viene al mondo. Particolare di non poco conto, quest’ultimo, per decidere sulla natura confessionale o laica da imprimere alla scuola. Ma anche, una volta deciso per la seconda, di come essa debba concretamente strutturarsi ed operare, poiché molteplici e diverse sono le strade che le vorrebbero indicare il positivismo, l’idealismo, la psicanalisi freudiana ed altre correnti di pensiero, che Gramsci vede, però, sostanzialmente ancora impregnate di una impostazione religiosa di fondo.
Secondo punto: non si dà concezione della scuola senza una visione della società nella quale è inserita e alla quale concorre. L’essere umano, insomma, si realizza nei suoi rapporti con gli altri. Il che non inficia le capacità individuali di produrre pensieri originali. Questi due punti di partenza sono, come si vede, tra loro connessi. La natura umana è vista da Gramsci non come data ed esistente come essenza permanente, ma come includente l’idea di trasformazione in quanto costituita dal “complesso dei rapporti sociali”, che non sono statici ed uguali in ogni tempo e in ogni luogo. Un divenire al quale nessuna idea di uomo, nessuna filosofia può sottrarsi, neanche la filosofia della prassi della quale egli è propugnatore. Né può essere separato da essi il terzo punto: la necessità di unire pensiero ed azione, teoria e prassi, nella scuola così come nella vita politica e sociale.
Ma questi sono, per l’appunto, solo alcuni fondamenti iniziali di un pensiero che si articola e spazia su un orizzonte concettuale che, proprio perché vuole tenere unite cultura e vita, ha una estensione non riducibile alla sintesi stringata che questo spazio esigerebbe.
Meglio, dunque, esporre qualcuna delle numerose sensazioni e riflessioni che il libro stimola ed induce. Cominciando dal fatto che emerge una figura di pensatore che, per quanto saldamente legato al suo tempo (il contrario sarebbe stato una smentita dell’intera ossatura della sua critica all’intellettuale racchiuso nella torre d’avorio che lo ripara dallo svolgersi della vita), ha ancora tanto da dire a chi è venuto dopo. Gli spunti che Gramsci offre vanno, infatti, anche al d là di quanto nel suo tempo fosse concretamente osservabile. Per esempio chi volesse oggi studiare le conseguenze dello sviluppo dell’intelligenza artificiale sulla società e sul formarsi di una nuova “natura umana” può trovare una inaspettata miniera in tanti temi trattati da Gramsci (e nel modo in cui egli li tratta): le considerazioni sulla “soggettività” ed “oggettività” nella scienza, sulla connessione tra pensiero e tecnica del pensiero, sulla relazione dialettica tra quantità (relativa all’economia e alla necessità) e qualità (attinente alla storia e alla libertà), sull’andamento “molecolare” dei cambiamenti individuali e sociali, sulla idealizzazione della tecnologia, sulla tecnologia come mediatrice tra l’uomo e la realtà, sul rischio che i processi di automazione possano in qualche modo emarginare l’uomo. Alcuni di questi temi andrebbero, oggi, confrontati con i successivi sviluppi della genetica e delle neuroscienze, ma non per questo perdono valore.
Così come avrebbero tanto da dire all’oggi le riflessioni sulla necessità di una scuola “disinteressata”, cioè non legata ad obiettivi di immediata utilità, sulla tradizione, sulla dialettica passato-presente, sull’unità di cultura umanistica e scientifica.
Questi esempi attengono alla parte construens del libro, alla quale segue una seconda destruens, come vedremo, in un singolare rovesciamento dell’andamento logico solito. Ma solo in apparenza, perché anche quella seconda parte è assai ricco di stimoli ed il tutto confluisce poi in un finale di apertura a nuove prospettive. Ma andiamo con ordine.
In tutta la parte in cui si analizzano il pensiero di Gramsci e il suo formarsi, esposizioni concettuali si alternano a racconti di episodi della vita di Gramsci, sempre connessi al primo aspetto e sempre rigorosamente documentati. Il che rende la lettura piacevole e densa di contenuti allo stesso tempo. Questa parte, la più sostanziosa, dà conto anche delle polemiche che Gramsci condusse con svariati obiettivi (correnti filosofiche, concezioni del socialismo e delle strade per la sua costruzione, scuola confessionale, acquiescenza dello Sato verso il potere reale della Chiesa e via discorrendo). Con il distacco che viene dal riferirsi a documenti e testimonianze, gli autori usano qui il fioretto. Poi, nel riferire delle posizioni degli epigoni, per lo più interessati, e degli antagonisti, anche inconsapevoli, dell’eredità del pensiero gramsciano depongono il fioretto e sfoderano la sciabola, menando fendenti contro quanti hanno sballottato Gramsci tra idealismo e marxismo, crocianesimo e maoismo, operaismo ed ortodossia partitica, grande teorico e “solo” politico. Viene delineato un quadro impietoso di operazioni che arruolano continuamente Gramsci al servizio di contingenze e linee politiche del momento. Fioretto iniziale e spada finale, prima di aprirsi ad un nuovo cammino affidato ai giovani. Fra essi, però, un intermezzo con il bazooka, che viene spietatamente puntato contro Don Lorenzo Milani, al quale viene imputata la responsabilità del degrado postsessantottino della scuola italiana (ma c’è stata mai un’epoca nella quale la scuola sia stata all’altezza dei suoi compiti?). Un’operazione considerata alquanto ingenerosa e inessenziale anche dall’autore della Prefazione e che, pur presentando argomenti degni di attenzione, appare un po’ gratuita, per il suo irrompere con veemenza ed estensione sproporzionate in una ricostruzione fino ad allora logicamente e filologicamente inappuntabile. La parte “distruttiva” del libro è anche la meno gradevole quanto a lettura dacché, come Gramsci stesso insegna, forma e contenuto fanno sempre un tutt’uno.
Detto questo, non si può e non si deve smarrire la portata complessiva del libro. Che costituisce una lettura salutare, perché impegna in un serrato corpo a corpo il lettore e il mondo culturale che questi porta con sé. Al termine di esso ci si sente arricchiti anche quando le proprie idee non coincidono pienamente con qualche parte della lettura che gli autori fanno di Gramsci o confliggono con il modo in cui questi ultimi affrontano alcuni aspetti delle interpretazioni di Gramsci e delle pedagogie che al pensatore sardo non si richiamano esplicitamente. Salutare perché ci si sente investiti da un fecondo irrompere di dubbi, di crisi di orizzonti, di stimoli di riflessione che spirano un vento di antidogmatismo. Il che mostra la capacità degli autori di suscitare processi dialettici che aiutano a non insediarsi in torri d’avorio nelle quali, per definizione, non possono che racchiudersi certezze non sottoposte al vaglio della realtà e del confronto. Mentre, magari, lo svolgersi del mondo le nega clamorosamente.
Un’ ultima annotazione: nella parte conclusiva viene analizzata la parabola della “fortuna” degli scritti e del pensiero gramsciani, che dopo una fase discendente, ha visto, dall’inizio di questo secolo, emergere la riproposizione della «natura dialogica del pensiero gramsciano, aperto a integrazioni e rielaborazioni». Un pensiero che sta trovando nuova linfa e che appare destinato a dire ancora tanto ai giovani, come mostrano le considerazioni finali che gli autori fanno nel libro. Il che rappresenta la conclusione confortante di una fruttuosa ed interessante lettura.