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L'ORIGINE DELLA SPERANZA

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RASTRELLAMENTOAutunno del ’43: nei vicoli del centro storico di un borgo, l’umanità di una ragazza coraggiosa salva un gruppo di persone dal rastrellamento degli occupanti.

 

             di SANDRO CIANCI

 

Prima della curva, da una stradina in discesa del Centro storico, quattro o cinque gradini salivano fino ad un terrazzino, attraversato il quale si giungeva ad una porta di casa.
Giusto di fronte, una casupola abbandonata, una sola stanza, sul piano della strada.
Ogni tanto il tempo lungo del paese era scosso da urla straniere, improvvisi passi di scarpe chiodate sul selciato, colpi di fischietto – “Alt!” -, scoppi di mitraglia, morti, anche, talvolta. Più o meno vicino, più o meno lontano.

L’autunno del ‘43. I tedeschi avevano occupato i paesi sulla riva destra del Sangro, di lì a poco linea del fronte.
Scatenavano rastrellamenti, cercavano mano d’opera per preparare trincee e sbarramenti.
Un giorno, ad un improvviso precipitarsi di uomini lungo la via in discesa del Centro Storico, una ragazza si affacciò sul terrazzino. Erano persone del paese, le braccavano i tedeschi. D’istinto accennarono ad infilarsi nella casupola a piano terra.

-Non lì!, gridò la ragazza facendo cenno di salire sul terrazzino ed entrare in casa.
Lì mandò al piano di sopra, dove trovarono una porta che li buttò nel vicolo sul retro. Venti metri più avanti, di fronte, li attendeva un’altra donna che sbracciandosi li invitava ad entrare. Attraversarono l’altra casa e di nuovo un’altra porta e di nuovo un’uscita in un altro vicolo. I Centri Storici sono meravigliosi labirinti.

I tedeschi, intanto, erano giunti sotto il terrazzino. Sfondarono a calci la porta della casupola abbandonata, non trovarono nessuno. Salirono sul terrazzino e puntarono il mitra addosso alla ragazza intimandole di rivelare la direzione presa dagli uomini. Quella indicò risolutamente il fondo della discesa, i soldati ripresero la corsa. La donna li aveva depistati, ed i Centri Storici sono meravigliosi labirinti.

Qualche anno dopo, finita la guerra, quella ragazza mi diede la vita. E quando divenni capace d’intendere i racconti mi narrò la sua piccola storia.
Fu dunque da mia madre che appresi qual è, sempre, il primo gesto del quale ha bisogno la speranza. E quale è il suo nome.