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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

DEPISTAGGI

DEPISTAGGIDepistaggi. Da Piazza Fontana alla Stazione di Bologna, di Luna Beggi, Paolo Cianci, Maria Giovanna Drudi, Luca Palestini, Flavio Romani, Amalia Vergari, Castelvecchi editore, Roma, pp. 232,€ 18,50. RECENSIONE.

 

Più che sulla sicurezza, alcuni uomini e pezzi di istituzioni dello Stato hanno a lungo vegliato sull’equilibrio psichico degli italiani e per evitare loro i dolorosi postumi degli attentati. Infatti, subito dopo ognuna delle stragi che hanno insanguinato l’Italia da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, si attivavano per rassicurare la nazione. Imboccando a volo una pista che si sarebbe poi rivelata fasulla, per far intendere che, tranquilli, li prenderemo in poche ore (ma non basteranno interi lustri), come avvenne dopo l’esplosione alla Banca dell’Agricoltura. O parlando per una giornata intera dello scoppio accidentale di una caldaia, dopo la strage di Bologna. Il massimo venne raggiunto dopo la strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974: a meno di due ore dallo scoppio della bomba, la piazza veniva accuratamente lavata per non accrescere l’angoscia dei bresciani con la visione dei resti della carneficina. Eppure lo sa anche un modesto spettatore di telefilm polizieschi che sulla scena del delitto nulla deve essere toccato prima dell’arrivo del magistrato e della scientifica. E che i primi istanti dopo lo scoppio sono fondamentali per raccogliere indizi preziosi per risalire agli esecutori e, di lì, ai mandanti. Così come il modesto spettatore sa che nessuna ipotesi va mai esclusa a priori e che spesso la pista che si presenta più facile è stata accuratamente costruita ad arte dal colpevole per sviare le indagini e allontanarle da sé. Il post-strage si svolge, a volte, con un copione che mette in scena un pressapochismo che sfocerebbe nel farsesco (se non si trattasse di tragedie), tale da far pensare all’italica sciatteria che popola tanti luoghi comuni sul nostro paese. Studiata, si direbbe, da un regista raffinato, che ha il senso dello spettacolo, oltre che la fredda spietatezza per mandare in giro bombe, false piste, informatori inattendibili, sorprendentemente forniti di brandelli di verità o di notizie plausibili ma abilmente collocati in contesti fuorvianti. E così via. Sullo sfondo, strutture ufficialmente inesistenti sulla carta ma potentissime nei fatti all’interno dei servizi segreti, che tessono con disinvoltura legami internazionali e nazionali di varia natura (con altri servizi, con eversori di varia nazionalità, con la malavita organizzata). Tutto per il bene della Patria, da salvaguardare dal pericolo comunista ad ogni costo. Anche a quello di vite umane innocenti e di erosione delle garanzie democratiche.
La storia del decennio insanguinato che va dalle bombe di piazza Fontana alla strage della stazione di Bologna (e di tutti gli anni che ne fanno da prologo e di cui esso costituisce lo sbocco) non si può, naturalmente ridurre alla semplificazione di una sorta di Spectre centralmente diretta e ferreamente organizzata. Perché al quesito di chi c’è dietro? non può essere data «una risposta facile, incontestabile e schematica», come ammoniva a suo tempo Giovanni Falcone: «Certe domande sono sbagliate, perché semplificano argomenti complessi». Ma è certamente possibile una «ricostruzione di legami e interessi ormai assodati» che danno il quadro del cammino di una democrazia ancora vulnerabile, sottoposta a pesanti attacchi che mirano a destabilizzarla, instaurando un clima di tensione che susciti «un riflesso d’ordine nelle istituzioni e nella collettività». Al fondo del quale si poteva intravedere la proclamazione dello stato di emergenza e la conseguente limitazione delle libertà costituzionali (la coincidenza del suo inizio con il ’68 studentesco e l’”autunno caldo” sarebbe difficilmente ascrivibile al caso).
Avvenimenti, legami, collegamenti, lavoro inquirente, azione della magistratura, contorni politici, febbrile lavorio dei servizi deviati per la fabbricazione di piste false e intralci nella ricerca della verità vengono ora ricostruiti e ricomposti in un quadro unitario da un accurato lavoro di ricerca, di scavo e di connessione condotto con rigore e pazienza “investigativa” da un gruppo di autori formatisi alla Bottega finzioni di Carlo Lucarelli: Luna Beggi, Paolo Cianci, Maria Giovanna Drudi, Luca Palestini, Flavio Romani, Amalia Vergari (prefazione di Carlo Lucarelli, introduzione di Antonella Beccaria).
Consapevoli dell’ammonimento di Falcone, che opportunamente citano, si sono messi alla ricerca di testimoni dei fatti ricostruiti ed hanno spulciato una quantità impressionante di testi vari, soprattutto di sentenze che accompagnano la lunga strada della giustizia, non sempre, o non sempre felicemente, conclusa. Ed hanno allestito una serie di narrazioni, relative ad ognuno degli avvenimenti di cui si occupano, simili a tanti set cinematografici, che hanno spesso in comune più di un protagonista e dei quali il volto del regista è spesso avvolto nell’ombra. Realizzando un libro avvincente per il ritmo serrato e per la capacità di tenere sempre insieme un mosaico complicato: un bell’equilibrio fra giallo, ricostruzione giornalistica, respiro storico e intreccio narrativo.
Il libro, dunque, non è una semplice ricostruzione cronachistica. Al contrario, riesce a far rivivere momenti tragici della nostra storia nel quadro più ampio in cui sono avvenuti, facendone emergere risvolti legati all’economia, alla politica, al clima generale del paese. Un’operazione favorita dal capitolo di apertura, che tratta appunto del contesto storico e che rappresenta una lucida sintesi delle tappe (ma anche di episodi particolari, come l’agghiacciante piano di diffusione di droghe pesanti nella contestazione studentesca, il cosiddetto Piano “Blue Moon”) che costruiscono il clima politico e culturale, specie all’interno di certi apparati dello stato, dal quale scaturisce in modo “naturale” la strategia del depistaggio. Che viene sistematicamente praticata e da cui nasce il titolo del libro.
Assistiamo così alla elaborazione e alle prime attuazioni della “strategia delle seconda linea”, nata negli ambienti dell’estrema destra, che mira a coinvolgere negli attentati esponenti di altri orientamenti politici e a farne ricadere su di essi la responsabilità. Con l’ausilio, quando possibile, di campagne di stampa appositamente orchestrate. E vediamo attuare, con incredibile ricchezza di fantasia e capacità di creare sempre nuovi diversivi alle indagini (di quelle che stimolavano la genialità teatrale di Dario Fo), la strategia del depistaggio sin dal primo minuto dopo la strage di Piazza Fontana: un nastro con la registrazione di una testimonianza che scompare per riapparire solo 5 anni dopo, confronti e “riconoscimenti” pesantemente influenzati, alibi verificati con maggiore o minore scrupolo a seconda che si confacciano o meno all’indirizzo già impresso alle indagini, reperti che si arenano nelle stanze dei servizi segreti senza mai giungere alla magistratura, fascisti individuati nell’ideazione o nell’effettuazione di atti criminosi prontamente presentati come di appartenenza anarchica.
Un copione, quello del depistaggio (con partenza sprint delle indagini verso gli ambienti di sinistra o, comunque, direzioni fasulle e faticoso emergere successivo di altre piste) che verrà sistematicamente replicato in occasione di tutte le stragi: Peteano, Piazza Della Loggia, Stazione di Bologna. Con la progressiva entrata in scena di protagonisti che nel libro vengono esaminati singolarmente, nelle relazioni che andavano via via intrecciando, nelle azioni e nelle organizzazioni che mettevano in atto: la destra di Junio Borghese,  la ‘ndrangheta,  Gladio, i Nasco, la P2, agenti internazionali. Con la presenza immancabile di personaggi dell’apparato statale, sì che, anche a voler pensare che gli imput per gli attentati non siano partiti direttamente dall’interno dello Stato, risulta evidente come pezzi di esso li abbiano prontamente cavalcati per renderli funzionali alla strategia della tensione. Questo nella migliore delle ipotesi. Un’ipotesi in fondo ottimistica, se si pensi -ad esempio- a come il giudice istruttore Zorzi parlerà, a proposito dell’immediato lavaggio di Piazza della Loggia dopo l’attentato, di una prima «congiura contro la verità» e a come il relativo processo sarà «caratterizzato da omissioni, bugie, false piste e da un numero incredibile di depistaggi da parte di uomini dello Stato. Tanto da far pensare ad un’organizzazione ben strutturata e finanziata, legata al potere politico nazionale e internazionale, con cospicui mezzi finanziari e con i propri uomini all’interno dei gangli istituzionali ad ogni livello».
Le narrazioni che concernono i singoli capitoli trovano infine una ricomposizione nell’ultimo, che parte dalla ricostruzione di un’ulteriore operazione di depistaggio, concernente il piano “Terrore sui treni”, che metterà ancora una volta in luce l’insieme delle tecniche e delle pratiche che hanno caratterizzato tutti i depistaggi. A proposito delle quali il libro usa le immagini di scatole cinesi, aprendo le quali non si giunge mai all’ultima, e di un interminabile giorno della marmotta che dura da 40 anni. Depistaggi che, come abbiamo visto, accompagnano tutte le tappe e che caratterizzeranno anche l’ultima dolorosa stazione del calvario delle stragi, quella di Bologna. Poi, conclude il libro, le stragi non saranno più necessarie e saranno escogitati altri mezzi "di destabilizzazione di massa” per tentare di indebolire la coscienza democratica del paese.
Un monito finale prezioso ci viene dunque consegnato da questo libro, che è assai utile anche nel suo insieme per quello che mette alla luce sotto i nostri occhi. Un lavoro composto da capitoli che, quantunque scritti da autori diversi, hanno una solida concatenazione consequenziale e conseguenziale. Un libro scritto con certosina e filologica attenzione a non affermare nulla che non sia suffragato da documenti, testimonianze, atti processuali. E sta proprio qui, oltre che nei suoi contenuti, la forza del libro, che ci restituisce senza veli ideologici, né preconcetti, un periodo cruciale della storia d’Italia che, visto nel suo scorrere e nel suo insieme, appare denso di pericoli per la democrazia. E che, perciò, ci ricorda come il dire che la democrazia non si conquista una volta per tutte, ma va costantemente salvaguardata, non sia un luogo comune, ma una storica verità.

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