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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

IL CIECO NATO

CIECO NATOUn esempio indicativo della figura dell’autore del Vangelo di Giovanni, vicino alla persona di Nicodemo, di cui si è parlato in precedenti articoli. Un brano poco indagato, ma significativo anche in relazione alla condizione di disabilità.

   FIRMA PERPETUADopo il personaggio di Nicodemo, presente solo in questo testo, l’episodio del “cieco nato”, come riportato nel capitolo 9, costituisce un esempio assai indicativo della figura dell’autore del Vangelo di Giovanni, nonché della sua impostazione. Per quanto riguarda l’autore, esso sembra essere più vicino a quella di una persona colta, informata delle dinamiche politiche e culturali del suo tempo, nonché delle correnti che vi si confrontarono, quindi ad un esperto di teologia, vicino appunto alla persona del vecchio Nicodemo (pare che questo Vangelo sia stato scritto intorno al 90 d.C.), che al giovanissimo pescatore, fratello di Giacomo, molto amato da Gesù, sebbene reso esperto dagli anni passati e dalla pratica missionaria.
  Invece, per quanto riguarda l’impostazione, si sa, prima di tutto dagli ultimi versetti del testo, che essa non ha alcuna pretesa di esattezza storiografica, visto che vi si afferma come (vado a memoria, ma… è meglio essere precisa: cap. 21,25) «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere», quindi quasi un’antologia, che, però, risponde anche ad un’esigenza di sistemazione e riflessione teologica in attesa di staccare definitivamente il Cristianesimo dall’Ebraismo e di diffondersi così nel resto dell’Impero (in questo senso il Vangelo costituisce anche una sorta di guida turistica di Gerusalemme che spiega ai nuovi cristiani non ebrei, i luoghi più importanti della città, nonché gli usi e costumi ebraici ad essi legati, come mostra il brano sulla vasca vicino alla “porta delle pecore”, al cap. 5,2-7, sotto il cui portico sostava ogni tipo d’infermi, perché ad essa era legata una credenza secondo la quale, quando le acque della vasca stessa erano agitate da un angelo, bastava bagnarvisi per essere guariti, con Gesù che guarisce direttamente un infermo che non riusciva mai ad usufruire di questa possibilità, perché sempre sorpassato da altri, ma dicendogli espressamente di entrare nell’acqua con tutto il suo lettuccio, non volendo con questo smentire del tutto la tradizione legata alla vasca).
A questo proposito, è importantissimo notare come questa impostazione antologica e teologica, in cui ogni fatto raccontato è valido non solo in se e per se, ma anche e soprattutto per il significato figurato che vuole trasmetterci, su un punto diventa invece estremamente precisa, di una precisione cronachistica, anzi, direi addirittura ragionieristica, come se volesse smentire una circostanza, diventata un luogo comune, cioè quella sulla sepoltura di Gesù, tenendo a dire che non fu solo Giuseppe d’Arimatea ad occuparsene, ma che vi partecipò anche Nicodemo (riferendo così un particolare o vissuto in prima persona, o vissuto da chi gliene aveva riferito direttamente), fornendoci anche l’informazione secondo la quale furono utilizzate, per la preparazione del corpo alla sepoltura, cento libbre di preziosissime e costosissime essenze funerarie (mirra ed aloe), con la conseguente messa in discussione del ruolo delle pie donne, che per gli altri Vangeli andarono il giorno dopo il sabato al sepolcro, appunto per portarvi queste sostanze ed ancora delle modalità di sepoltura, che sarebbero state quelle di derivazione egiziana in uso tra gli ebrei, ossia con l’avvolgimento del corpo in bende.  
Tornando invece all’episodio che stiamo trattando, quello del cap.9, è invece legato ad un’altra piscina di Gerusalemme, quella di Siloe, a cui Gesù manda il cieco per lavarsi gli occhi dall’impacco di fango realizzato con la propria saliva. Ecco dunque il brano completo di quest’ultimo:    

1Passando vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?". 3Rispose Gesù: "né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.4Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. 5Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo". 6Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: "Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?". 9Alcuni dicevano: "È lui"; altri dicevano: "No, ma gli assomiglia". Ed egli diceva: "Sono io!". 10Allora gli chiesero: "Come dunque ti furono aperti gli occhi?". 11Egli rispose: "Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va' a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista". 12Gli dissero: "Dov'è questo tale?". Rispose: "Non lo so".
13Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo". 16Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri dicevano: "Come può un peccatore compiere tali prodigi?". E c'era dissenso tra di loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta!". 18Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: "È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?". 20I genitori risposero: "Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; 21come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso". 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l'età, chiedetelo a lui!".
24Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: "Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore". 25Quegli rispose: "Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo". 26Allora gli dissero di nuovo: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?". 27Rispose loro: "Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?".28Allora lo insultarono e gli dissero: "Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia". 30Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". 34Gli replicarono: "Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?". E lo cacciarono fuori.
35Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?". 36Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?". 37Gli disse Gesù: "Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui". 38Ed egli disse: "Io credo, Signore!". E gli si prostrò innanzi. 39Gesù allora disse: "Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi". 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo forse ciechi anche noi?". 41Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane".

  Come si vede, questo brano ci racconta la paradossale storia di un poveraccio, cieco dalla nascita (che nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli mi pare fosse interpretato da un vecchissimo Renato Rascel, anche se qui, in verità, si tratterebbe di un cieco giovane, visto che ne vengono coinvolti i genitori), che alla fine si può ben considerare come il primo perseguitato a causa della sua fede in Cristo, dato che trova il coraggio di definirlo un profeta, perché, dopo la sua guarigione, viene tartassato dagli interrogatori dei farisei interessati a sapere chi fosse stato a guarirlo. Alla sua risposta schietta e naturale, che, sì, era stato Gesù di Nazareth, questi ultimi, non volendo ammettere i poteri divini di Costui, tentarono addirittura di farlo passare per incapace di intendere, coinvolgendo perfino i suoi genitori per cercare di trovare un appoggio alle loro posizioni contrastanti sulla Sua figura.
Ma andiamo con ordine, perché la storia comincia con una domanda molto interessante dei discepoli riguardo alla mentalità della società del tempo (ma anche, sebbene in modo sotterraneo ed implicito, di quella di oggi) a proposito della condizione di disabilità, che viene totalmente ribaltata da Gesù, che costituisce un brano poco indagato, ma molto significativo, anche per quanto riguarda le mie condizioni personali.
Alla base, infatti, della domanda iniziale dei discepoli, che Gli chiedono se sia stato lui, il cieco, a peccare, o i suoi genitori, c'è la teoria secondo la quale la malattia o la disabilità siano una punizione divina per i propri peccati che, nei casi più gravi, può essere scontata anche dai figli o dalle successive generazioni. Questa teoria è stata poi ulteriormente modificata e raffinata dalle religioni orientali, buddismo ed induismo principalmente, con la dottrina del kharma e della reincarnazione, secondo cui il peso dei propri peccati, il kharma appunto, viene scontato con le successive vite che l’anima si troverebbe a vivere.   
Alla domanda dei discepoli, Gesù, dunque, risponde così: “né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio», quindi smentendo quasi totalmente la teoria (del resto non poteva certo permettersi di affermare che non fosse vera, ma comunque dichiara apertamente che né lui, né i suoi peccarono) e anzi, ribaltandola, affermando che proprio nelle persone più deboli e inutili agli occhi del mondo si manifesta la gloria di Dio (anche se l’Evangelista evidenzia maggiormente il confronto tra Cristo, luce del mondo, e le tenebre del peccato e della malattia, come del resto indicato nel suo Proemio), sia nel senso che esse possiedono talenti nascosti che prima o poi devono venire alla luce, sia nel senso che offrendo loro il nostro aiuto e la nostra solidarietà manifestiamo nel mondo un riflesso di quell'Amore infinito per la propria creatura, che è il tratto più importante e distintivo di Dio stesso.
Infatti, ritornando al filone principale della storia, il cieco nato sopporterà pazientemente la persecuzione organizzata nei suoi confronti dai farisei, con continui interrogatori per farsi ripetere ciò che era accaduto e a chi fosse dovuta la sua guarigione e con questi ultimi che mostrano di essere estremamente indecisi sulla posizione da assumere nei confronti di Gesù, visto che alcuni affermavano il Suo non essere un uomo di Dio perché non osservante il sabato (in quel giorno non si poteva svolgere alcuna attività, neppure guarire), mentre altri ribattevano che una persona comune, un normale peccatore non poteva certo compiere questi prodigi.
Erano talmente in disaccordo tra loro che alla fine chiedono proprio al cieco un’opinione definitiva su come considerasse Gesù, ma quando questi si espresse dicendo francamente che per lui era un Profeta, si sentirono improvvisamente scavalcati nel loro mestiere di teologi e quindi cercarono di far passare il cieco nato per incapace e coinvolgendo addirittura i suoi genitori per sapere se fosse proprio lui il loro figlio e se fosse nato cieco. I genitori, invece di essere contenti per averlo riavuto sano e quindi di appoggiarlo nelle sue dichiarazioni, si limitarono a certificare che quello era il loro figlio e che era nato cieco, abbandonandolo per il resto al proprio destino, dicendo che in pratica era maggiorenne, ma almeno sancendo il fatto che fosse perfettamente in grado d’intendere e volere. In realtà lo avevano fatto per non incorrere nella punizione dei farisei, che avevano già stabilito come chi considerasse Gesù, uomo di Dio, dovesse venire espulso dalla sinagoga (in realtà, forse, l’Evangelista riporta ai tempi della vita terrena di Gesù, una situazione comune alla fine di quel primo secolo, in cui i contrasti tra Ebrei e Cristiani erano diventati talmente comuni, che i primi avevano preso coscienza come il gruppo dei secondi fosse talmente diverso nei valori, da non poter condividere lo stesso spazio sacro, ossia la sinagoga).
Tornando alla paradossale storia del nostro malcapitato cieco, i farisei, non ancora contenti delle dichiarazioni dei genitori, lo interrogarono per la terza volta, chiedendogli ancora come fosse avvenuta la sua guarigione, ma premettendo subito che consideravano Gesù solo un peccatore. A questo punto il cieco ripete ciò che era accaduto, prendendo anche un po’ in giro i farisei, visto che afferma come sembrerebbe che, con le loro insistenze, costoro vogliano diventare discepoli di Gesù. Punti sul vivo, i farisei reagiscono subito stizziti dicendo che a loro basta essere discepoli di Mosè, mentre, affermano, questo Gesù non sanno nemmeno chi sia e di dove sia, insomma Lo considerano un peccatore, una persona qualunque. Senonché, dicendo ciò, si beccano un’altra battuta beffarda del cieco, il quale ribatte immediatamente: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla»
Esasperati pure da questa lezione di teologia che veniva da un poveraccio reso però libero dalla nuova libertà spirituale, che gli veniva anche dalla nuova padronanza del proprio corpo regalatagli da Gesù, i farisei non trovano altri argomenti che quello di rifugiarsi nel vecchio luogo comune di partenza, ossia quello secondo cui la disabilità deriverebbe dai peccati propri o dei genitori, cacciando in seguito il cieco dal luogo delle riunioni.
Gesù venne a sapere tutto questo e quando incontrò di nuovo l’ex cieco, gli chiese se credesse nella Sua persona di “Figlio dell’uomo”, ossia di nuovo rappresentante dell’umanità disceso direttamente da Dio e quindi di Ottimizzatore, di nuovo prototipo, modello di Uomo a cui ispirarsi per gli altri uomini, senza il quale, anzi, non è possibile avere la vita eterna, lo scopo principale per cui Egli è venuto, poiché lo fa proprio attraverso l’Eucarestia, assumendo la quale noi, se già crediamo in Lui cercando di compiere la Sua volontà, nel senso che ci sforziamo di assumere il Suo stile amorevole verso il prossimo, diventiamo in qualche modo una parte di Lui (forse sto per dire una cavolata scientifica, ma, giusto per farmi capire meglio, è come se,  noi assumessimo un po’ del D.N.A. di Cristo, che si viene così ad innestare sul nostro D.N.A. personale, fornendoci, quasi come un vaccino, gli anticorpi contro il male del peccato e, perché no, anche contro quello fisico).
Alla risposta dell’ex cieco su chi fosse, si qualificò appunto come “Figlio dell’Uomo”, dicendo che era proprio quello che costui aveva davanti e che gli aveva aperto gli occhi, ottenendo come reazione, la genuflessione dell’uomo.
Questa scena causa il risentimento di alcuni farisei che erano con Gesù, specialmente quando Questi dice: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi», riferendosi con ciò al peccato di orgoglio, che rende ciechi, di questi ultimi che, anche, di fronte all’evidenza dei fatti, si ostinano a rimanere sulle proprie posizioni.Qual è allora la morale, l’insegnamento, il significato finale che si può ricavare da questa paradossale storia? Che la fede in Cristo, quando è adulta, ragionevole e consapevole, come nel caso del nostro cieco dalla nascita, rende liberi, anche quando non può giovarsi di un miracolo che guarisce, liberi dai luoghi comuni come quello sulla disabilità, liberi dai culti con troppe prescrizioni, come l’Ebraismo dei tempi di Gesù e di qualcuno di quelli di oggi, liberi dagli idoli antichi e moderni che ti costringono (gioco, droga, mode, social di tutti i tipi, ecc.) e liberi di pensare con la propria testa, anche di fronte ai moderni tribunali invisibili (ancora i social-media di tutti i tipi), come al Sinedrio dei tempi del cieco (l’assemblea-tribunale, in cui operavano i farisei di maggioranza, decisamente contrari a Gesù, e quelli di minoranza, più favorevoli).

 

Nella foto: Orazio de Ferrari (1606-1657), Guarigione del cieco nato (pubblico dominio)

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